# 335 – Carlo Fruttero & Franco Lucentini – LA DONNA DELLA DOMENICA (Mondadori, 2010, ediz. orig. 1972, pagg. 422)
A indagare sul misterioso omicidio dell’architetto Garrone, a Torino, è il commissario Santamaria, coadiuvato dal collega De Palma: nient’affatto originari della città, bensì del Sud Italia, i due poliziotti dovranno districarsi tra i diversi “strati” della complessa società torinese, per arrivare alla soluzione di un delitto che sembra avere una molteplicità di possibili moventi (e, di conseguenza, di possibili colpevoli). Ma alla fine, tra la vacua raffinatezza della Torino aristocratica di Anna Carla Dosio e Massimo Campi e la sottigliezza di quella intellettuale dell’americanista Bonetto, per non parlare di quella assai più proletaria rappresentata da Lello Riviera, la soluzione del giallo arriverà, nella migliore tradizione, da un dettaglio passato inosservato, da un semplice dettaglio che vanificherà teorie e costruzioni intellettuali.
Capolavoro riconosciuto della premiata ditta Fruttero & Lucentini, “La donna della domenica” non è solo un giallo: è molto di più.
È la fotografia straordinariamente vivida di una città, Torino, e di un Paese, l’Italia, colti all’inizio degli anni Settanta da due penne di eccezionale precisione e ironia. È una commedia in cui i ruoli si scambiano e si invertono continuamente. È un balletto stupendamente orchestrato, un affresco mobile e cangiante di una società vista in tutti i suoi (tanti) vizi e nelle sue (rare) virtù, ma senza mai giudicare, senza che mai gli Autori si ergano a bacchettatori di mode e costumi: Carlo Fruttero e Franco Lucentini erano scrittori di tale sottigliezza che l’invettiva non è mai stata loro necessaria. Meglio affidarsi all’ironia e all’intelligenza, intavolando col lettore un gioco di rimandi e di allusioni che se da una parte richiede, in effetti, una certa preparazione da parte di chi legge, dall’altra è perfettamente in grado di essere colto, almeno nei suoi toni generali, da chiunque, in primis da chi Torino la conosce bene, ma anche da chi non l’abbia mai visitata.
Perché una delle caratteristiche di base della scrittura di Fruttero e Lucentini è la capacità di farsi capire, assieme al gusto di raccontare, fin nelle più minime sfumature, non solo una vicenda gialla ma anche una pletora di personaggi che i due Autori non si limitano a muovere sul palcoscenico del loro personale teatro, ma che esplorano a fondo, alla ricerca – appunto – di vizi e virtù, di elementi distintivi e tratti originali.
E così, ecco nascere personaggi come Anna Carla Dosio e Massimo Campi, appartenenti a una Torino elevata e colta, nullafacente e annoiata (indimenticabile il siparietto sulla pronuncia corretta di “Boston”), o come l’americanista Bonetto, l’antiquario Vollero, lo stesso architetto Garrone – magistralmente tratteggiato in poche, lucidissime pagine – e, soprattutto, il commissario Santamaria e il suo collega De Palma, poliziotti “terroni” in una grande città industriale del Nord, arguti pesci fuor d’acqua costretti a lavorare in un ambiente di cui a volte non comprendono fino in fondo le meccaniche e il linguaggio, pur essendo, entrambi, profondi conoscitori dell’animo umano e vecchie volpi dell’arte di indagare.
Senza dimenticare decine di comprimari che s’imprimono nella memoria con due sole battute, merito indiscutibile di una coppia di scrittori di straordinario livello che con “La donna della domenica” raggiunsero, a mio parere, il loro risultato più alto in assoluto (l’altro romanzo con protagonista il commissario Santamaria, “A che punto è la notte”, pur essendo un buon libro non raggiunge lo stesso livello di arguzia, leggerezza e profondità).
Efficacissimo come giallo, questo romanzo si spinge ben oltre e diventa commedia umana, ritratto di una città, evocazione di un Paese intero: come ogni capolavoro, “La donna della domenica” non offre un’unica chiave di lettura, ma si scompone in mille sfaccettature e si ha l’impressione che a ogni rilettura saltino fuori dalle pagine dettagli nuovi ai quali non si era fatto caso e una profondità d’intento e di visione ineguagliabile. Ma, soprattutto, a stupire è la freschezza di una scrittura che sembra allargare a macchia d’olio la trama e la detection, al punto che essa sembra non avere un centro e dà l’impressione di procedere per puro accumulo di elementi, ma che, miracolosamente, tiene tutto in piedi fino a una chiusa che non delude, anzi, resta impressa quanto poche altre. Pur chiedendo al lettore una certa pazienza, “La donna della domenica” è un libro che ripaga ampiamente lo sforzo di leggerlo, e che consiglio a chiunque voglia cimentarsi con la scrittura: da Fruttero & Lucentini c’è sempre da imparare!
Discreto, ma nulla più, il film che dal romanzo fu tratto nel 1975 per la regia di Luigi Comenicini, con una splendida Jacqueline Bisset e un grande Marcello Mastroianni nei panni del commissario Santamaria. Del resto, Mastroianni era sempre grande: come Fruttero & Lucentini!
(Recensione scritta ascoltando Ennio Morricone, “La donna della domenica – colonna sonora del film”)
PREGI:
giallo perfetto, calibratissimo, intelligente e sottile, il libro va oltre il suo stesso genere e diventa commedia a tutti gli effetti, con personaggi mossi magistralmente sul palcoscenico da due Autori perfettamente consapevoli dei propri mezzi espressivi, nonché riflessione sul linguaggio stesso e sui suoi limiti. Da antologia molte sequenze, dal battibecco su Boston-Baaast’n alle descrizioni, puntuali e profonde, di Torino e dei suoi tanti volti
DIFETTI:
stricto sensu nessuno, ma se vogliamo, il libro non è indicato a chi in un giallo cerca soprattutto il ritmo e il succedersi incalzante degli eventi. “La donna della domenica” è un libro che indugia volentieri su dettagli e tocchi di colore, sui viluppi sociali e culturali di una città complessa e ricca di storia come Torino
CITAZIONE:
“L’idea venne al commissario la domenica mattina, un po’ prima delle nove, mentre andava in ufficio a piedi. Aveva già bevuto due caffè, ma la sua mente restava torpida, sfocata. Appena sveglio s’era messo a raccogliere, come dopo una festa finita male, i cocci sparsi dell’inchiesta, e camminando continuava a prenderli e lasciarli ricadere uno dopo l’altro, perduto nella loro spenta equivalenza. Niente gli diceva niente.” (pag. 361)
GIUDIZIO SINTETICO: ****
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…