LA FOLLIA DI BANVARD – Paul Collins

# 325 – Paul Collins – LA FOLLIA DI BANVARD (Adelphi, 2006, ediz. orig. 2001, pagg. 354)

Ci credereste che è esistito un pittore capace di dipingere tele lunghe tre miglia? E un geniale inventore che, di nascosto, seppe costruire un treno pneumatico sotto Manhattan, negli anni Settanta del XIX secolo? E un falsario in grado di “fabbricare” falsi Shakespeare a getto continuo? E chi era veramente il misterioso Psalmanazar, che nel Settecento imbrogliò mezza Inghilterra facendosi passare per originario dell’esotica e – ai tempi – sconosciuta isola di Formosa? Perché il Solresol – la lingua musicale inventata dal brillante François Sudre – non ha preso piede ed è oggi completamente dimenticata, dopo aver vissuto una breve stagione di gloria? E ancora: potrebbe la Terra essere cava, e ospitare al suo interno altri uomini e altre creature viventi, cosa della quale era pienamente convinto John Symmes? E perché, pur essendo assurto in vita alla massima celebrità, oggidì nessuno ricorda neppure il titolo di un libro di Martin Tupper? E che fine hanno fatto i fantomatici raggi N, che infiammarono il dibattito scientifico ai primi del Novecento?

A queste e a molte altre domande dà risposta, in modo elegante ed esauriente, il libro di Paul Collins, curioso Autore americano, classe 1969, attratto dalle biografie non già degli uomini illustri, bensì dei dimenticati, di coloro che, per varie ragioni, non ce l’hanno fatta a passare alla storia, vuoi perché vittime di errori drammatici e di valutazioni sbagliate (come il povero professor Blondlot e i suoi raggi N o come John Symmes e la sua improbabile Terra a sfere concentriche), vuoi perché troppo innamorati del loro stesso pensiero (come l’astronomo dilettante Thomas Dick, convinto di aver trovato la vita su tutti i pianeti del sistema solare, compresi gli anelli di Saturno, o come la sfortunata Delia Bacon, impazzita nel tentativo di dimostrare che Shakespeare non è mai esistito).

Ma tra le vicende a loro modo disperate di scienziati tanto benintenzionati quanto improvvisati (come il generale Pleasonton, convinto di aver scoperto i poteri curativi della luce blu), Collins sa raccontare anche le imprese meritevoli ma sfortunate di uomini d’indubbio valore che hanno avuto il solo torto di nascere e agire troppo in anticipo sui tempi: è il caso di Alfred Beach, geniale costruttore di metropolitane che stupì il mondo ma non riuscì a scolpire il proprio nome nella Storia.

Ed è proprio questo il punto sul quale Paul Collins si concentra, è questo l’aspetto – a suo modo inquietante – che il suo splendido libro vorrebbe chiarire: quanto sia stretto, e labile, il discrimine tra successo e fallimento, quanto a volte (e per la verità, anzi, piuttosto spesso) sia il caso a sancire la gloria o l’oscurità per gli uomini e le donne d’ingegno. In molte delle tredici storie che l’Autore ci racconta, infatti, non sono in dubbio né la buona fede né la genialità di fondo dei protagonisti, tutti realmente esistiti e documentati.

D’accordo, William Ireland in fondo è stato un imbroglione, coi suoi falsi Shakespeare che hanno invaso il mercato britannico ai primi dell’Ottocento, e non c’è dubbio che la teoria di John Symmes sulla Terra cava sia una solenne baggianata, non a caso snobbata dalla scienza ufficiale. Ma che dire di Alfred Beach, geniale ideatore di metropolitane pneumatiche? O di René Blondlot, bravo fisico che prese un colossale abbaglio coi raggi N? O di Delia Bacon, donna coltissima e intelligente, cara amica di Nathaniel Hawthorne e di Ralph Waldo Emerson, il cui unico torto è stato quello di perdere la ragione nel tentativo disperato di dimostrare un’ipotesi azzardata? O, ancora, di François Sudre, musicologo e linguista che, animato da sincero spirito umanitario, inventò o codificò un intero linguaggio basato sulla scala diatonica, linguaggio che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto unire i popoli e superare ogni barriera?

Paul Collins ci racconta le storie di questi tredici personaggi con autentico trasporto e sincera passione per le loro vicissitudini e i loro errori, senza cattiveria gratuita ma con un sapiente tocco d’ironia che stempera tutto senza per questo togliere valore alle opere e alle azioni di quelli che, a tutti gli effetti, sono stati – ciascuno nel suo campo – degli innovatori e dei pionieri. A dare il titolo al libro, non a caso, è un artista, John Banvard, pittore di vedute letteralmente chilometriche che, srotolate durante dei veri e propri spettacoli, hanno anticipato nientemeno che il cinema e le performance multimediali di oggi, visto che Banvard si dedicava anche a realizzare i suoni e la voce narrante delle sue immense tele, a beneficio degli spettatori entusiasti. Eppure chi si ricorda oggi di lui? Chi si ricorda di François Sudre, di Ephraim Bull o di William Ireland?

Uomini un tempo celeberrimi, che abitarono le cronache e i dibattiti durante la loro esistenza, e in qualche caso – vedi Banvard – si arricchirono anche in maniera impressionante, oggi sono vittime dell’oblio, superati e cancellati da altre figure che invece nella Storia sono rimaste e rimarranno, pur non avendo fatto, alla resa dei conti, nulla di tanto diverso da loro: perché il nome Edison fa suonare il proverbiale campanello nella testa di chiunque, ma quello di A.J. Pleasonton no? Perché tutti conosciamo Wordsworth, Coleridge, Tennyson e Keats ma nessuno ricorda Martin Farquhar Tupper, che all’epoca vendette più copie di tutti gli altri messi assieme?

Una delle poche sezioni ancora esistenti dell’immenso “Panorama” del Missisippi di John Banvard

Collins è affascinato in egual misura dai meccanismi per i quali si creano la fama e il successo e dagli ingranaggi inesorabili dell’oblio, ed è bravissimo a raccontarli entrambi: amando i suoi personaggi, e trasmettendo di essi un’immagine fededegna, né idealizzata né demonizzata, l’Autore ci restituisce tanto il senso del passato quanto quello, assai più inafferrabile, del trascorrere del Tempo e, con esso, delle mode e delle abitudini, dei gusti e delle aspettative del pubblico. Perché “non è la storia a cambiare, bensì quello che desideriamo ricordare di essa.” 

(Recensione scritta ascoltando Fabrizio De Andrè, “La canzone dell’amore perduto”)

PREGI:
stile perfettamente adeguato alle storie raccontate, con la giusta quantità d’ironia e sapienti tocchi di malinconica dolcezza, come quelli che chiudono i capitoli dedicati alla metropolitana pneumatica di Alfred Beach e all’illusione di Robert Coates di essere un grande attore in grado di recitare Shakespeare ammaliando il pubblico. Inoltre, una ricchissima messe di aneddoti e informazioni che fanno letteralmente godere il lettore curioso 

DIFETTI:
forse, dopotutto, tredici storie sono poche! Non che il libro non abbia le dimensioni giuste, intendiamoci. Ma l’efficacia del narratore è tale che si finisce per rammaricarsi che le vicende raccontate non siano quindici, venti o anche di più!

CITAZIONE:
“Beach ormai era stato dimenticato. E così, un giorno, tra il frantumarsi dei mattoni e lo scheggiarsi del legno, gli scavatori si aprirono la strada nell’oscurità inoltrandosi in una cavità dove il buio era ancor più fitto. Il vecchio tunnel di Beach. […] Poco oltre, all’interno del tunnel, un veicolo aspettava la corsa successiva. Il treno pneumatico, decrepito e malridotto, sostava ancora sui binari in attesa di un’ora di punta che non sarebbe mai arrivata.” (pag. 219 – dall’episodio “La metropolitana pneumatica”)

GIUDIZIO SINTETICO: ***½

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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***1/2
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ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO