LA MOSTRA DELLE ATROCITÀ – James G. Ballard

# 100 – James G. Ballard – LA MOSTRA DELLE ATROCITÀ (Feltrinelli, 2008, ediz. orig. 1970, pagg. 195)

L’annuale esposizione delle opere figurative realizzate dai pazienti di un Istituto di cura per malattie mentali è la cornice di questo romanzo frammentato e unico nel suo genere. A partire dalla disamina di opere d’arte palesemente venate di paranoia e psicosi (ingrandimenti fotografici di divi e dive del cinema, mappe illeggibili e altre figurazioni di una realtà abnorme), Ballard si lancia nell’impossibile ricostruzione della personalità schizofrenica di un personaggio dai molti nomi (Travis, Traven, Talbot, Tallis…) o, forse, dei molti personaggi che costituiscono la sua sfaccettata e frammentata identità. E, nel mentre, traccia un’incredibilmente lucida preconizzazione di quello che sarebbe stato il mondo nei decenni a venire, dominato dai mass media e dalla pubblicità.

“La mostra delle atrocità” è del 1970: tenetelo bene a mente, perché non vi capiterà mai di leggere un libro altrettanto anticipatore, soprattutto nell’ambito di un genere, la fantascienza, che pure fa del tentativo di anticipare mode e tecnologie la sua stessa ragion d’essere.

Beninteso: fantascienza, per Ballard, ha sempre un significato un po’ diverso da quello che lo stesso termine poteva avere per un qualunque – seppur bravo – autore “di genere” (e ce n’erano tanti, soprattutto nel mondo anglosassone). Per Ballard, fantascienza è il cosiddetto “Inner Space”, lo spazio interiore, l’esplorazione del pianeta Uomo e delle sue idiosincrasie più profonde, delle sue perversioni mai riconosciute, talmente sotterranee da essergli completamente ignote. Commentando “La mostra delle atrocità”, Ballard disse: “Ho cercato di analizzare quello che succede nel punto in cui si incontrano il sistema dei media e il nostro sistema nervoso.” E l’Autore affida a una delle tante note che corredano il testo quella che secondo me è una delle affermazioni più importanti di tutto il suo pensiero: “Nell’epoca attuale” – scrive – “il paesaggio dei media è una mappa in cerca di un territorio” (pag. 131).

Ecco: non serve altro per dimostrare tutta la terribile attualità di questo libro fondamentale che, oltre a contenere alcune delle tematiche più interessanti che abbiano mai innervato la fantascienza, vanta anche uno stile di scrittura impareggiabile, nitido e abissale allo stesso tempo, allucinatorio e lucidissimo, distanziante e inquietante. Attraverso una serie di capitoli che sono perlopiù racconti separati uno dall’altro, ma accomunati forse dallo stesso protagonista – che cambia nome ma, significativamente, mantiene invariata l’iniziale, “T” – Ballard ci conduce in un allucinante viaggio dentro una “mappa senza paesaggio”, un mondo trasfigurato che cerca disperatamente un senso in mezzo a “un flusso incessante di informazione e di pubblicità, di notizie e di intrattenimento, in cui le campagne presidenziali e i viaggi sulla Luna sono indistinguibili dal lancio di una nuova merendina o dell’ultimo deodorante” (sempre a pag. 131).

Non vedete, dietro questa straordinaria formulazione, anche l’attuale, sclerotico e indecifrabile panorama dei media? Non vedete la crisi del coronavirus raccontata in cinquantamila modi – tutti sbagliati – da TG e programmi di approfondimento che fanno a gara a chi drammatizza meglio, o – il che è altrettanto esecrabile – a chi tranquillizza di più? Non vedete, dietro queste riflessioni ballardiane datate – lo ripeto – 1970, la preconizzazione di un mondo in cui vero e falso sono indistinguibili? Ebbene sì, signori: è il mondo delle bufale e delle fake news che pretendono eguale dignità delle notizie vere e circostanziate, delle ricerche scientifiche serie e documentate. È il mondo dei terrapiattisti e dei no vax, delle opinioni che contano più delle competenze, delle “voci” che pesano, sul grande pubblico, più delle notizie e delle reali informazioni. È il mondo in cui abbiamo un servizio strappalacrime sulle vittime del coronavirus di Bergamo, ma prima… consigli per gli acquisti! È il mondo in cui si ascolta Panzironi più di Sirchia, e in cui le teorie complottiste proliferano perché bisogna far vedere a tutti i costi di “saperla più lunga degli altri”.

Aggravato dalla capillarità del web, il “panorama dei media” di ballardiana memoria è oggi, a mio avviso, fuori controllo, preda di una cronica incapacità di comunicare. Anzi, proprio chi dovrebbe farlo di mestiere è, spesso, il meno capace di comunicare, perché la foga di “dire tutto”, di “arrivare prima”, di “fare lo scoop” ha portato non solo all’indifferenza verso i contenuti reali delle notizie, ma anche a modalità di comunicazione sclerotiche e contraddittorie, che finiscono per fare leva più sull’emotività dello spettatore – come se la realtà non fosse che un enorme serial – che sulle sue svilite (e vilipese) capacità intellettive. Capolavoro senza tempo, “La mostra delle atrocità” era – nel 1970 – il futuro; oggi è il presente.       

(Recensione scritta ascoltando gli Smashing Pumpkins, “Eye”)

PREGI:
lucidissimo e analitico, corredato da un apparato di note che potrebbe far pensare più a un saggio che a un romanzo, ma che, invece, è parte integrante del tessuto narrativo, “La mostra delle atrocità” è un unicum, uno di quei libri che non si ripetono. Non per tutti, magari, ma indubbiamente siamo in presenza di un punto cardinale della letteratura del ‘900. Imperdibile l’asciuttissima e affascinante prefazione firmata nientemeno che da William Burroughs!

DIFETTI:
complessivamente piuttosto ostico, anche per via di una terminologia molto tecnica, è un libro che non offre appigli e vie d’uscita, a partire da una struttura in capitoli che si rivelano quasi racconti separati, interdipendenti ma non necessariamente consequenziali

CITAZIONE:
“La sola via che ci è data per entrare in contatto gli uni con gli altri è la concettualizzazione. La violenza è la concettualizzazione del dolore. Analogamente la psicopatologia è il sistema concettuale del sesso.” (pag. 114)

GIUDIZIO SINTETICO: ****

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il “sistema Mereghetti”, che va da 0 a 4 “stelline”: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi “classici” di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
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***1/2
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ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO