NEMESI – Philip Roth

# 99 – Philip Roth – NEMESI (Einaudi, 2010, pagg. 183)

Newark, New Jersey, estate 1944: mentre la Seconda Guerra Mondiale entra nell’ultimo drammatico anno, una epidemia di poliomielite si diffonde nella cittadina, gravata da una canicola che non dà tregua, e che facilita il contagio. Il ventitreenne insegnante di educazione fisica Eugene “Bucky” Cantor non si dà pace: troppi dei ragazzini affidati alle sue cure, nel campo estivo dove li fa giocare a softball, si sono ammalati, e si contano i primi morti… Impotente contro la malattia, il buono e generoso Bucky non vuole abbandonare i suoi ragazzi ma, come spesso accade, le scelte più oculate e ponderate conducono – per disgrazia – agli esiti più infausti…  

Di certo, vista la trama, non farete fatica a comprendere perché proprio ora, in questo periodo di epidemia e di paura, di quarantene e di chiusura totale di un intero Paese, io abbia scelto questa lettura. D’altronde, ed è meglio chiarirlo subito, “Nemesi” non è tanto la storia di un’epidemia e di una terribile malattia come la poliomielite, per fortuna sconfitta nel corso degli anni ’50 da un vaccino (con buona pace dei no vax); “Nemesi” è, piuttosto, la storia dell’impotenza di un brav’uomo, animato dalle migliori intenzioni e deciso a vivere rettamente, di fronte alla crudeltà del destino (e – vorrei aggiungere – ai limiti del suo stesso carattere).

Se lo straordinario “Pastorale americana” si chiudeva con l’angosciante domanda (cito a memoria): “Cosa può esserci di meno riprovevole della vita dei Levov?”, “Nemesi” potrebbe inscriversi interamente in una domanda equivalente: “Chi mai può essere meno riprovevole di Bucky Cantor?” Già, cosa può avere di “sbagliato” questo bravo ragazzo americano che non ha potuto arruolarsi volontariamente per la guerra a causa della pronunciata miopia (e se ne rammarica), e che fa la sua parte occupandosi indefessamente, anche durante un’estate canicolare, dell’educazione fisica dei ragazzi? Cosa può avere di “sbagliato” questo Big Jim fidanzato con una bella e dolce ragazza ebrea, figlia di un medico colto (perché ci sono anche medici ignoranti) e dalla mentalità aperta? Questo ragazzo cresciuto dai nonni perché rimasto orfano in tenerissima età, e che a ventitré anni ancora vive con la nonna, di cui si occupa amorevolmente? La risposta è semplice e drammatica: nulla. Non c’è nulla di sbagliato in Bucky cantor, non c’è nulla di sbagliato nei ragazzi che, nell’estate del ’44, a Newark, hanno preso la polio e sono morti o sono rimasti gravemente menomati, in un’America che – in quegli anni – i segni della poliomielite li vedeva incisi indelebilmente anche sul corpo del suo condottiero supremo, quel Franklin Delano Roosvelt che è passato alla storia come l’unico Presidente confermato per quattro mandati consecutivi.

Come spesso in Roth, la vicenda individuale diventa simbolo della storia collettiva, della Storia di un intero Paese, o perlomeno di una sua pagina; e la rievocazione di quella rovente estate con i cartelli di quarantena affissi alle porte, con la paura della gente e le stupide e violente reazioni contro gli ebrei e gli italiani (eh sì, già allora ci consideravano “untori”, perché la maggior parte dei casi si era verificata nel quartiere italiano oltre che nell’ebraica Weequahic), e ancora, la corsa delle ambulanze, e i dubbi su come la malattia si trasmettesse, e le discordanti opinioni su come affrontarla (“i campi giochi devono restare aperti, perché nel chiuso delle case i ragazzi si ammalerebbero più facilmente” – “no, occorre chiudere tutto e aspettare che la pestilenza faccia il suo corso!”), non vi ricorda nulla tutto ciò? Scriveva Robert Musil: “Le stesse cose ritornano”. Poche materie come la letteratura sono maestre nel ricordarcelo.

E una volta di più, a impressionare in “Nemesi” – e a fungere da monito per tutti noi che abbiamo il privilegio di leggerlo, soprattutto in questo incredibile periodo – è la lucidità di Philip Roth, la capacità della sua scrittura di arrivare esattamente dove si è prefissa di arrivare, di ottenere, con i mezzi espressivi che le sono propri, gli obiettivi che voleva ottenere: non certo una filippica contro le malattie infettive, o contro le quarantene, o contro il caldo della “Newark equatoriale” o – infine – contro le umane incertezze e le ancor più umane paure, che inducono anche a pensare, scrivere e fare cose stupide (se ne ricordi chi, in questi giorni, indulge un po’ troppo facilmente all’insulto, sui social). No, Philip Roth, da par suo, ci propone una riflessione sul Destino e sulla vita ai tempi della polio – o del coronavirus, fate voi.    

(Recensione scritta ascoltando Georg Friedrich Händel, “Sarabanda”)

PREGI:
di un nitore abbacinante, la scrittura di Roth è sempre una gioia, anche in un romanzo breve come “Nemesi”, che non può vantare il respiro e lo sviluppo dei grandi capolavori. La suddivisione in tre lucidissimi capitoli, però, con il terzo – “Rimpatriata” – a chiudere idealmente un terribile cerchio narrativo e concettuale, è straordinaria, come sempre    

DIFETTI:
onestamente fatico a trovarne, tanto nello stile quanto nel contenuto. Certo, non siamo in presenza di uno dei “grandi romanzi” di Philip Roth, ma di una storia breve che, alla fine, ha forse l’unica “colpa” di dare meno spazio di quanto si sarebbe potuto a tanti personaggi e tanti (possibili) sviluppi

CITAZIONE:
“La sua rabbia non era rivolta contro gli italiani o le mosche o la posta o il latte o il denaro o il maleodorante Secaucus o il caldo impietoso o Horace, non era rivolta contro una qualunque causa – per quanto improbabile – la gente, in preda alla paura e alla confusione, potesse tirar fuori per spiegare l’epidemia, e non era rivolta nemmeno contro il virus della polio, ma contro la fonte, l’autore: Dio, che aveva creato il virus.” (pag. 82)

GIUDIZIO SINTETICO: ***

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il “sistema Mereghetti”, che va da 0 a 4 “stelline”: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi “classici” di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
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***1/2
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ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO