# 160 – Vladimir Kormer – LA TALPA DELLA STORIA OVVERO LA RIVOLUZIONE NELLA REPUBBLICA DI S=F (Einaudi, 1980, pagg. 185)
Durante una serata alcolica, nei tardi anni brezneviani, l’ex-funzionario sovietico Vadim Koltsov, che aveva fatto parte del corpo diplomatico e che per anni aveva sperato di essere assegnato alla sudamericana (e immaginaria) “Repubblica di S=F”, si mette a raccontare la sua intricata vicenda politica e personale a un interlocutore incontrato per caso. E così, in un flusso di coscienza “sporcato” dai fumi dell’alcool, le verità si mescolano alle menzogne, i sogni alla realtà, e il risultato è un impasto indecidibile nel quale spiccano la rivalità del protagonista col mellifluo Pautov, vecchio compagno di studi interessato a sua volta al ruolo diplomatico nella Repubblica di S=F, e l’antica amicizia col tentennante Timur Interlingator, che forse vuole abbandonare l’Unione Sovietica in polemica col Regime. Se poi ci si mette anche il fantasma di Stalin, che appare nottetempo e dispensa consigli politici, il quadro di questa “follia della nomenklatura” è completo…
Che delusione, questa “Talpa della storia”! Lo dico con sincero dispiacere, perché quando scovai il libro su una bancarella pensai, se non a un capolavoro, perlomeno a un testo curioso e interessante. E, per onestà, va ammesso che l’Autore riesce, in effetti, a stimolare l’interesse del lettore, gettandolo in un viluppo di piani e contro-piani, di idee e sotterfugi che ben raccontano – o perlomeno lasciano intuire – l’essenza dell’Unione Sovietica sotto la cappa brezneviana.
Un mondo in cui, anche all’interno del Partito (anzi, soprattutto all’interno del Partito!), non ci si poteva fidare di nessuno, essendo i funzionari tutti pronti a farsi allegramente le scarpe a vicenda pur di conquistarsi un posto privilegiato nella considerazione dei capintesta e del Politburo. Vladimir Kormer appare sinceramente intenzionato a calare il lettore in un mondo assurdo, fatto di intrighi e sospetti, di trame oscure e relazioni segrete; e al romanzo non mancano alcune pagine riuscite, in particolare quelle dedicate alle apparizioni dell’ometto dal braccio paralizzato che si rivelerà – almeno stando a quanto dice l’anziana bibliotecaria Genrietta – nientemeno che Lui, Stalin! Ma nel complesso, ahimè, “La talpa della storia” è un libro concettoso e involuto, arduo da leggere e a tratti di una noia mortale, a meno che non si sia appassionati di questioni politico-filosofiche legate alle concezioni marxista e leninista della Storia (il titolo deriva, infatti, da una frase di Marx, che paragonava la riuscita della rivoluzione socialista all’azione di una talpa, che scava indisturbata e fa crollare, alla fine, il mondo di sopra).
Costruito sulla doppia dimensione narrativa del flusso di coscienza da una parte – quando Koltsov racconta la sua vicenda esistenziale e politica al tizio incontrato al bar – e del diario dall’altra, il libro oscilla tra la lucidità di alcune costruzioni (il racconto dell’amicizia giovanile con Timur Interlingator, il rapporto del protagonista con la moglie altolocata) e il folle garbuglio di intrighi e sospetti che caratterizza soprattutto l’ultima parte. Il risultato è un romanzo dall’andatura incerta, che se merita considerazione in quanto documento d’epoca (fu pubblicato a Parigi nel 1979 e si aggiudicò il premio V. Dal’) non può però essere difeso sul piano più strettamente narrativo: le elucubrazioni e le ruminazioni mentali del protagonista ci mettono poco a diventare insopportabili, e una volta capito il giochino metaforico e le per nulla velate allusioni alla nomenklatura del Cremlino, restano solo il vecchio Stalin e la sua talpa a tenere in piedi – se non altro per la riuscita visionarietà di certe scene, come il falò attorno al quale la talpa prende la parola e parla della storia – un libro pretestuoso e terribilmente datato, che un premio poteva vincerlo giusto negli anni ’70 a Parigi, quando tutto ciò che era sovietico veniva visto come “esotico” e “misterioso”, soprattutto un dissidente che aveva l’ardire di raccontare gli intrighi del Partito in un romanzo. Oggi, non me ne voglia Kormer, è francamente una lettura evitabilissima.
(Recensione scritta ascoltando Franz Liszt, “La campanella”)
PREGI:
figlio di una temperie politica e culturale che solo chi ha vissuto può veramente apprezzare, è un libro-documento interessante, un tentativo di fotografare uno stato d’animo più che una situazione storica, e di fissare su carta l’angosciosa sensazione che devono aver provato migliaia di funzionari sovietici quando si sono trovati con le spalle al muro, accusati da una parte di fanatismo e dall’altra – spesso contemporaneamente – di aver perso la fede nel Socialismo reale
DIFETTI:
involuto e oscuro, lento, avviticchiato attorno a “poche idee ma confuse”, come avrebbe detto Ennio Flaiano, il romanzo, come il suo protagonista, non sa scegliere la sua forma, e non bastano le poche scene riuscite in cui appare il fantasma di Stalin a riscattare un’opera deludente sotto tutti gli aspetti, incapace di staccarsi da quella letteratura ruminante e autoimmune che si attorciglia su presunti dilemmi amletici e che non riesce a creare, nel lettore, neanche un briciolo di sana partecipazione emotiva
CITAZIONE:
“L’ultima e definitiva verità dialettica consiste nel fatto che al Sistema Perfetto gli uomini non servono affatto! Essi gli impediscono di funzionare! L’unanimità totale esiste soltanto al cimitero!!!” (pag. 155)
GIUDIZIO SINTETICO: *
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…