LA TORRE – Uwe Tellkamp

# 90 – Uwe Tellkamp – LA TORRE (Bompiani, 2012, ediz. orig. 2008, pag. 1.334)

In un quartiere altoborghese di Dresda, all’inizio degli anni ’80, la vita scorre placida, tra le privazioni, i sospetti e i difetti di quel “socialismo imperfetto” che è la DDR, la Nazione più spiata del mondo, quella dai migliori risultati economici mai raggiunti da tutti i Paesi del blocco sovietico (raccolti nel famoso “Comecon” che, lo ricorderà bene chi – come me – ha fatto le Medie prima della caduta del Muro di Berlino, era la risposta sovietica alla occidentale CEE…) ma, allo stesso tempo, quella più contraddittoria ed esposta alle influenze occidentali, anche per via della vicinanza con la Germania Federale. Una Nazione evaporata improvvisamente subito dopo aver festeggiato il suo quarantesimo anniversario, dissolta come un sogno, che ha lasciato tracce nella memoria collettiva; di queste tracce va a caccia Uwe Tellkamp, con un romanzo fluviale e sontuoso che racconta, in un flusso unico e compatto, non “una” storia, ma “la” Storia, quella degli ultimi anni di DDR visti attraverso gli occhi di ex-borghesi divenuti giocoforza socialisti, di fanatici entusiasti, di passivi osservatori di una realtà in lento disfacimento (come Meno Rohde, redattore e zoologo), di intellettuali alla perenne ricerca di un impossibile equilibrio tra libertà d’espressione e allineamento al Regime (come le memorabili figure di Altberg, Eschschloraque, Jochen Londoner e Judith Schevola), di professionisti che devono conciliare la loro attività con le esigenze della politica (come il dottor Richard Hoffmann, marito fedifrago ricattato dalla Stasi) e, infine, di Christian Hoffmann, figlio maggiore di Richard, sedicenne all’inizio del romanzo, riflessivo, perplesso e portato alla contestazione, che vivrà gli anni della ferma militare proprio mentre la Repubblica si avvia alla fine, con tutte le conseguenze del caso…

Come avrete capito, rinuncio subito all’idea di riassumere in modo convincente un romanzo di 1.300 pagine, animato da dozzine di personaggi e innervato da una miriade di storie e sottotrame. Anche perché il vero intento dell’Autore è quello – palese – di evocare (e non necessariamente narrare) la DDR. Per questo, in lunghi capitoli, egli insiste su dettagli filologicamente perfetti, alla ricerca di un’atmosfera più che di una storia, di un modo d’essere più che di un racconto, di un modo di sentire più che di una psicologia dei personaggi.

E, diciamolo subito, in questo il libro è perfetto: per più di mille pagine si è oggettivamente trasportati nella vecchia Repubblica Democratica Tedesca, la si “vive” come mai prima, in letteratura, seppur – ma in questo, se vogliamo, risiede il vero tocco d’originalità del libro – da una prospettiva un po’ particolare: non un ambiente operaio e proletario, ma un ambiente ex-borghese, colto e raffinato, ambizioso e inquieto, un ambiente che della borghesia ha perso i simboli (le vecchie, fascinose ville familiari sono tutte frazionate in appartamenti assegnati dallo Stato) ma non il modo di pensare, non il sostrato profondo della coscienza. I protagonisti sono medici, scrittori, poeti, redattori, studenti: quella che avrebbe potuto essere una élite, e che invece si ritrova ai margini, inglobata senza differenze in un mondo appiattito, grigio, di cui non è più chiaro neanche quali siano i privilegi.

Le scuole gratis? Certo, ma a prezzo della totale adesione ideologica, della quale il giovane Christian, pur indottrinato dai suoi spaventati genitori e dal lucido zio Meno, non sarà capace; la sanità pubblica per tutti e gratuita? Certo, ma in ospedali in cui mancano persino le siringhe, e i farmaci devono essere sottratti da un reparto all’altro, perché le forniture scarseggiano; la cultura portata in primo piano? Certo, purché si scriva solo ciò che il Politburo ha approvato! Insomma, la DDR descritta da Uwe Tellkamp è il regno del compromesso, del silenzio-assenso, del conformismo e del sospetto; e il fatto che il fulcro dell’intera vicenda sia la bellissima, martoriata città di Dresda e, all’interno della città, il fascinoso e anacronistico quartiere della Torre, con le sue antiche ville e le strade dai nomi poetici e i parchi e i giardini attraversati da un tenue soffio di decadenza, aggiunge un tocco malinconico a un’opera assoluta che si allarga a macchia d’olio ma, miracolosamente, non perde mail il filrouge di una narrazione tenuta assieme – letteralmente – dal progressivo decadimento della DDR stessa, questo corpo precocemente invecchiato che, a soli 40 anni, mostra già tutti i segni di una fatale sclerosi.

Molti critici, perlopiù tedeschi, hanno scomodato paragoni imbarazzanti: Proust, Musil, Joyce! Io non mi spingo a tanto, non ce n’è bisogno: Tellkamp ha abbastanza personalità, come scrittore, per non doversi appoggiare a paragoni di sorta. Il suo stile è elevato, lessicalmente ricercatissimo; il romanzo procede per cambi di ritmo e di stile, dall’Io narrante del diario di Meno – che innerva le molteplici vicende raccontate – al fluviale racconto della naja di Christian, che presenta qualche curioso parallelo con “La città e i cani” di Vargas Llosa; e ancora, dagli squarci poetici che restituiscono – vividi e rotondi – interi aspetti della vecchia DDR, ai dialoghi taglienti tra intellettuali o tra medici,  che svelano, senza bisogno di eccessivi didascalismi, tutti i volti del Potere, quel Potere che alla fine, come un parassita, a furia di volersi perpetuare, ha finito per strangolare proprio l’organismo-ospite, il Paese, sorta di immenso tronco d’albero ucciso dal rampicante che vi è cresciuto sopra a dismisura.

Ma non c’è risentimento nel libro di Tellkamp, neppure in una riga; sorta di “Heimat” tedesco-orientale, “La Torre” non giudica né si vendica di nessuno. Non è un regolamento di conti, né una gara a screditare il passato: solo un lungo, dolce, angoscioso sogno nel quale il passato torna a vivere in tutte le sue mille e mille sfaccettature, da Sabbiolino alla Trabant, dai VEB (Volkseigener Betried, le Aziende Statali) a Minol-Pirol, dalle ore di “educazione politica” al razionamento del carbone o ai bagni pubblici di quartiere per farsi la doccia, quando nelle case private non arrivava più acqua calda…

Alternando parti narrative ad altre più squisitamente riflessive, e rifiutando facili manicheismi, Tellkamp riesce a costruire un’opera monumentale che sfugge persino alla definizione (seppur in parte appropriata, vista la vicenda di Christian) di “bildungsroman”, o romanzo di formazione. “La Torre” è un oggetto letterario unico nel suo genere, saga familiare (gli Hoffmann e i Rodhe) e racconto degli ultimi anni di un Paese intero, di cui queste due famiglie e la loro cerchia di amici e frequentatori si fanno, in un certo senso, simbolo. E se è pur vero che in certi punti il libro sembra cedere un po’ a tentazioni intellettualistiche (le pagine del diario di Meno sono oggettivamente, a tratti, piuttosto oscure, soprattutto per chi non è tedesco e non ha vissuto nella DDR!), in compenso lo stile non accenna a cedere nonostante la spropositata lunghezza, e la solo apparente mancanza di “colpi di scena” propriamente detti non fa che accrescere l’impressione di originalità di un libro che sembra più che soddisfatto della propria ambientazione, che preferisce svelare la “straordinaria quotidianità” della DDR piuttosto che tessere romanzeschi intrighi e facili “twist”.

Libro di non facile lettura, “La Torre” chiede molto al lettore ma offre anche parecchio: libro-scommessa che azzarda un racconto lento e particolareggiato in tempi in cui, perlopiù, i lettori vogliono libretti di facile consumazione, pronti per essere “spesi” durante gli apritivi e le serate di società per fare bella figura con gli amici, “La Torre” è un’esperienza letteraria che segna in profondità, e alla quale si finisce per perdonare anche una sfilza di difetti che, altrove, avrebbero decisamente fatto volgere il giudizio su una china più negativa. Per esempio, la pretesa di dare per scontata una quantità di competenze di base sulla storia tedesca di cui, a mio avviso, non molti lettori dispongono, oppure l’eccessiva lunghezza di certe parti, in particolare della descrizione del servizio militare di Christian, fino agli sfoggi di bravura – un po’ pretenziosi – della parte finale, “Maelstrom”, per finire con lo sfumare “nel nulla” di tanti, tantissimi personaggi che – un po’ come la DDR – più che giungere alla fine, “evaporano” improvvisamente e – incredibilmente – lasciano nel lettore, anche dopo 1334 pagine, un puro anelito di curiosità.                                  

(Recensione scritta ascoltando Leonard Cohen, “Who by Fire”)

PREGI:
stile elevato e scelte lessicali e narrative mai banali fanno di questo libro un caposaldo della letteratura tedesca contemporanea, e certamente il testo di riferimento – in ambito letterario – per l’esperienza storica della DDR. A ciò si aggiunga la ricchezza di personaggi e caratteri, mai banali ma sempre sfumati e sfaccettati    

DIFETTI:
a tratti si ha l’impressione che l’Autore sia sinceramente innamorato del proprio stesso stile e delle proprie innegabili capacità argomentative, al punto che alcuni capitoli e alcuni passaggi appaiono oggettivamente superflui, giustificati solo dall’elevatezza dello stile che li sorregge. Inoltre, si fa un po’ fatica a “entrare” nel romanzo: occorrono 300 pagine buone per iniziare a familiarizzare con personaggi e ambienti! 

CITAZIONE:
“A Christian ripugnava doversi accapigliare per un paio di getti d’acqua in un posto strettissimo, odiava quella violazione obbligata dell’ultimo avanzo di sfera privata che era rimasta a tutti quelli che cercavano di tenere ancora in vita un Io dentro l’uniforme, un Io che cercava di sottrarsi al grande Noi decretato dall’esercito.” (pagg. 1.238-39)

GIUDIZIO SINTETICO: ***½

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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1/2
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*1/2
NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
***
***1/2
****
ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO