LA VERITÀ SU BÉBÉ DONGE – Georges Simenon

# 179 – Georges Simenon – LA VERITÀ SU BÉBÉ DONGE (RCS, 2015, ediz. orig. 1942, pagg. 166)

Il matrimonio apparentemente perfetto, seppur un po’ freddo, tra l’imprenditore di successo François Donge e Eugénie d’Onneville, detta Bébé, va improvvisamente in frantumi quando la moglie tenta di avvelenare il marito servendogli un caffè corretto all’arsenico. Perché l’apparentemente tranquilla, quasi sottomessa Bébé giunge a compiere un gesto tanto estremo? Quali segreti covano all’interno di questo matrimonio borghese simile a tanti altri, tra un uomo distante e indaffarato e una donna che patisce il vuoto di una vita senza impegni? Il processo che vedrà Bébé alla sbarra diventa l’evento-clou nella vita della cittadina di provincia in cui abitano i coniugi Donge: tutti sono ansiosi di vedere come si difenderà l’imputata, del resto rea confessa, mentre il marito, che per poco non moriva avvelenato, sembra l’unico intenzionato a salvare la donna, ad evitarle una condanna pesante. 

Quando si legge Simenon, è veramente difficile incappare in un brutto libro. Sì, anche il grande scrittore belga è incorso in qualche svarione, e qualcuno dei suoi “romanzi-romanzi” (come egli amava chiamare i libri che non appartenevano alla serie del commissario Maigret, che lo rese celebre in tutto il mondo) è oggettivamente invecchiato maluccio; qualcun altro, ammettiamolo, non è eccezionale, non brillando né per stile né per trama.

Però, più o meno riusciti, i libri di Simenon non si possono mai definire “brutti”, perché il mestiere di scrittore questo elegante signore amante del vino, della pipa e delle belle donne lo conosceva veramente bene, fin nei più intimi recessi. Lo dimostra, ancora una volta, un gioiellino come questo “La verità su Bébé Donge”, romanzo indubbiamente “minore”, molto meno conosciuto di altri, di un Autore che spesso riesce a stupire proprio con le opere cosiddette “minori”, con i romanzi che non ti aspetti, con i libri che paiono banalotti e superati e che si rivelano invece fiammeggianti e, se non sconvolgenti, perlomeno inquietanti. Lo spaccato borghese raccontato, o meglio illustrato in “Bébé Donge”, è magistrale e, se il tema non è nuovo (e non lo era neppure all’epoca della stesura del romanzo), bisogna dire che Simenon lo sviscera con maestria e convinzione, servendosi con grande perizia dell’artificio del flashback, che penne meno esperte e meno sensibili avrebbero banalizzato.

Gli squarci di passato che François Donge, convalescente dopo il tentato avvelenamento, rivive dal letto d’ospedale prima e dalla grande casa di campagna poi, sono degli autentici pezzi di bravura per come uniscono il lirismo della rievocazione alla concretezza del racconto, che piano piano fa emergere una verità inconfessata, una consapevolezza che da François si irradia poi anche nel lettore, portandolo a ripensare la figura dell’algida e antipatica Bébé e a vederla, alla fine, attraversata da un sopito ma non cancellato soffio di passionalità. Allora, la capacità di Simenon di riflettere sulla morale e sui suoi limiti giunge all’apice, perché ancora una volta non ci sono buoni o cattivi, nella sua letteratura, ma solo uomini e donne pieni di difetti e di storture che, senza volerlo, si scoprono travolti dalla tragedia, al centro di uno spettacolo che non avrebbero mai creduto di stare interpretando, prigionieri di quelle che Pirandello avrebbe chiamato “maschere”, ruoli sociali costruiti dalle aspettative degli altri, dai rapporti di potere, dalle dipendenze economiche. Pochi scrittori hanno la bravura di un Simenon nel muoversi in quell’Inferno umano chiamato “società”, quel mondo di apparenze e di compromessi, di sottintesi e di non-detti che – a volte – deflagra improvvisamente e, grazie a un po’ d’arsenico nel caffè, rivela verità inattese, e un sostrato meno levigato e smaltato di quanto si sarebbe potuto credere.             

(Recensione scritta ascoltando Edith Piaf, “Non, Je ne regrette rien”)

PREGI:
scritto con grande eleganza e con un’indubbia capacità di andare a fondo dei problemi pur senza teorizzare, anzi, al contrario, proponendo suggestioni e aprendo squarci quasi psicanalitici di consapevolezza, “La verità su Bébé Donge” è un romanzo raffinato, appena un po’ calligrafico, forse, ma di piacevolissima lettura, soprattutto se si considera che il giallo è risolto in partenza: non ci sono dubbi sulla colpevolezza di Bébé! Eppure la tensione, sottile e insinuante, non viene mai meno 

DIFETTI:
la ricostruzione del mondo borghese è, tutto sommato, un po’ di maniera: François Donge e suo fratello Félix sono i classici “self made men” che, da umilissime origini (sono figli di un conciatore) hanno costruito un piccolo impero; Bébé e sua sorella Jeanne d’Onneville sono le classiche ragazze cresciute nella bambagia (figlie di un diplomatico di stanza a Istanbul), dalla nobiltà comprata (bellissima la pagina in cui Simenon ironizza sull’apostrofo che la madre di Bébé e Jeanne avrebbe usato per darsi un’aura nobile, partendo dal meno fascinoso cognome Donneville!). E alla fine, il romanzo non serba alcun vero mistero, riducendosi a un “dramma borghese” che ha l’unico, ma anche indubbio merito, di non andare mai sopra le righe     

CITAZIONE:
“Guardando quelle gambe era inevitabile pensare alle sottilissime calze di seta che sua moglie si ostinava a indossare anche in campagna: quella donna, che da mesi non aveva l’occasione di spogliarsi davanti a un uomo, portava biancheria intima più elegante che se fosse stata una puttana d’alto bordo!” (pag. 19)

GIUDIZIO SINTETICO: ***

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
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***1/2
****
ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO