# 235 – Philip Roth – LAMENTO DI PORTNOY (Einaudi, 2005, ediz. orig. 1969, pagg. 236)
In una lunga “confessione” al suo psicanalista, Alexander Portnoy rievoca la sua vita fino a quel momento: dall’infanzia dominata dalla stitichezza del padre (!) e dall’ossessivo controllo della madre all’adolescenza fatta di masturbazione continua e compulsiva, fino all’età adulta in cui Alexander passa da una ragazza all’altra, senza soluzione di continuità, fino all’incontro con la “Scimmia”, una bellissima e magrissima modella che segnerà una svolta nella sua vita di sessuomane vissuta “come il protagonista di una barzelletta ebraica.”
È impossibile, in una carriera straordinaria come la sua, dire quale sia il capolavoro assoluto di Philip Roth, tanti sono i libri che possono ambire a questa definizione. Però, se proprio mi costringessero a scegliere con la proverbiale pistola puntata alla tempia, credo che opterei per “Lamento di Portnoy”, se non altro per il fatto che si tratta di un testo pubblicato nel 1969, quando Roth aveva poco più di trent’anni ed era uno scrittore quasi esordiente.
Fu proprio “Lamento di Portnoy” a imporlo all’attenzione di tutti, in particolare della sua stessa gente, gli ebrei americani, che da allora non gli avrebbero più perdonato la vena dissacrante e l’ironia che – proprio a partire da Alexander Portnoy – avrebbe caratterizzato tutta una serie di personaggi rothiani, compreso quel Nathan Zuckerman che sarebbe stato per tanti anni l’Alter Ego dello scrittore stesso. Portatore di uno sguardo disincantato e graffiante sulla condizione della diaspora e, in particolare, sulla sua componente americana, Roth è al contempo il più ebraico e il più anti-ebraico degli scrittori, dove per “anti-ebraismo” si intenda, ovviamente, la capacità di riflettere sulla storia di questo tormentatissimo popolo sfuggendo a tutti i pregiudizi, sia a quelli negativi che a quelli positivi, e di interrogarsi – potremmo dire – sui limiti stessi dell’ebraicità.
Ma questa questione rischierebbe di portarci troppo lontano: torniamo a Portnoy! Al di là delle considerazioni tematiche e dell’importanza, per la letteratura americana stessa, di un romanzo-apripista, che avrebbe inaugurato, appunto, una successiva sequela di libri incentrati sulla descrizione degli ebrei americani nelle loro mille sfaccettature, “Lamento di Portnoy” è soprattutto un capolavoro di stile e di arguzia – un’arguzia che a tratti sconfina nella volgarità bell’e buona, ma sempre giustificata, sempre (auto)ironica, e sempre capace di divertire fino alle lacrime. Perché non c’è dubbio che Alexander Portnoy sia uno dei personaggi più straordinari non solo di Philip Roth, ma di tutta le letteratura del ‘900; l’Io narrante con cui ci racconta (o meglio, con cui racconta al suo psicanalista) la sua storia, e con cui descrive la sua famiglia e l’entourage nel quale è cresciuto, nell’immancabile Newark, è brillante e scatenato, vero e proprio flusso di coscienza appena regolato dalla sapienza stilistica e narrativa del grande scrittore, che sa dare le giuste ripartizioni e le giuste pause, che sa far riflettere come anche far ridere, che spiazza e accarezza il lettore nella stessa misura, divertendolo ed entrandogli sottopelle come con pochi altri romanzi vi potrà mai capitare.
Sì, perché senza accorgersene ci si trova a pensare ad Alexander Portnoy come a un amico di vecchia data, tanto la scrittura di Roth è perfetta nel costruirlo come personaggio e nell’immergerci nel suo – spesso osceno – monologo nient’affatto interiore. E così, di avventura in avventura, di barzelletta in barzelletta, il cinico ma indifeso Portnoy finisce per raccontarci, di noi stessi, molto più di quanto immaginassimo, perché cosa c’è di più umano dei difetti di carattere, e della mancanza di volontà? E Alexander Portnoy è il campione mondiale di difetti e di mancanza di volontà, di autoironia e di cedimento alle tentazioni, e purtuttavia, nella sua a tratti farsesca esistenza (si vedano le straordinarie pagine dedicate al problema di stitichezza del padre, con cui il piccolo Alex ha dovuto convivere a lungo), non mancano gli interrogativi importanti e cogenti, come quello su Israele e sulla differenza con gli ebrei della diaspora, tra i quali Alex è cresciuto (come Roth).
E allora, è ancor più significativo che questo straordinario romanzo, accusato di oscenità e di pornografia alla sua uscita, spregiato da una buona parte degli ebrei americani (ma, sono pronto a scommetterci, anche adorato, magari segretamente, da una parte altrettanto consistente di essi!), rappresenti il primo vero mattone di quel “Muro del Pianto” che è l’opera intera di Philip Roth, opera la cui vastità e la cui portata nel 1969 non potevano ancora essere immaginate, ma che si potevano forse già intravedere nella frizzante, sboccata, vitalissima prosa di “Lamento di Portnoy”, romanzo scritto apposta per fare scandalo, letteratura capace di dividere e di far discutere (che noia, oggidì, con la ricerca di cose “non divisive”: la letteratura, e l’arte in generale, devono dividere! Devono fare male! Devono far accapigliare la gente! Pensate a “La città e i cani” di Vargas Llosa, bruciato in piazza dai militari, nel 1963! Riuscite a pensare a un romanzo così, in chiave “non divisiva”? Che accontentasse tutti? Che desse il proverbiale colpo al cerchio seguito dall’altrettanto proverbiale colpo alla botte?), romanzo – infine – che sa unire grandi temi e divertimento, che sa sfondare la barriera di diffidenza del lettore esplodendo in una sarabanda di trovate narrative una più geniale dell’altra, fino a una chiusa passata alla storia per capacità di divertirsi e divertire, smitizzando ogni cosa, psicanalisi compresa, anzi, in primis!

(Recensione scritta ascoltando Claudio Monteverdi, “Lamento della Ninfa”)
PREGI:
una scrittura meravigliosa per senso dell’ironia e del racconto, e un personaggio che definire “mitico” è dire poco. “Lamento di Portnoy” è un caposaldo imprescindibile, un libro da leggere senza se e senza ma, e soprattutto senza preconcetti su divisività e altre scemenze
DIFETTI:
vista la natura a tratti molto esplicita della scrittura, soprattutto sui contenuti di tipo sessuale (masturbazione compresa), non è un libro per educande. Ma sia chiaro che non è un vero difetto! Di veri difetti, “Lamento di Portnoy” semplicemente non ne ha
CITAZIONE:
“A cena balzo in piedi afferrandomi tragicamente la pancia: diarrea! urlo, ho un attacco di diarrea!, e appena chiusa a chiave la porta del bagno, mi infilo sulla testa un paio di mutande sottratte al cassetto di mia sorella e tenute in tasca arrotolate in un fazzoletto. L’effetto delle mutandine di cotone sulla mia bocca è così galvanizzante – la parola «mutandine» è così galvanizzante – che la traiettoria della mia eiaculazione raggiunge nuove, sensazionali altezze: decollando dalla fava come un missile prende la rotta per la lampadina soprastante dove, con mio orripilato stupore, si spiaccica spenzolante.” (pagg. 19-20)
GIUDIZIO SINTETICO: ****
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…