LECTIO BREVIS / 97

Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati

A cura di Roberto Mandile

PUNTATA 97
INCUBI A OCCHI APERTI
Sulla natura dei brutti sogni: stranezze che la ragione caccia al risveglio o demoni che ci sottomettono?

Cornell Woolrich – INCUBO (1941)

Di cosa parla: È solo un incubo quello che ha turbato il sonno di Vincent Hardy. Ha sognato di uccidere un uomo all’interno di una stanza ottagonale piena di specchi. Eppure al risveglio, Vincent non può rassicurarsi, perché troppe cose non tornano: sul volto e sul collo porta segni di graffi e lividi e poi da dove vengono un bottone e una chiave strani, mai visti prima, se non appunto in sogno? Non resta che chiedere consiglio a un amico investigatore. Il problema è come essere creduti, specie quando l’incubo assume contorni sempre più reali: è possibile che davvero Vincent sia un assassino?

Commento: Gli incubi hanno una spiegazione razionale? In letteratura tutto dipende dal genere: se rimaniamo nell’ambito del giallo (che in questo sembra aver assimilato la lezione di Freud sull’interpretazione dei sogni), possiamo essere ragionevolmente certi che non c’è incubo che tenga di fronte al potere della logica, capace di dare una spiegazione anche alle cose più incomprensibili. È il caso di questo bel romanzo breve che conferma, e anzi valorizza, le qualità di Cornell Woolrich, abilissimo nel confondere le idee al lettore, giocando sull’ambigua relazione tra sogno e realtà ma evitando con saggezza di trascinare le cose per le lunghe (la soluzione può apparire forzata e, col senno di poi, persino poco originale). Ne risultano esaltate le atmosfere allucinate (dalla scena iniziale dell’incubo all’arrivo nella casa del delitto) e il ritmo incalzante su cui si regge la storia, che fila dalla prima all’ultima pagina senza momenti di stanca o inutili divagazioni. Il regista Maxwell Shane ne trasse ben due film.

GIUDIZIO: ***

Richard Matheson – INCUBO A SEIMILA METRI (2002)

Di cosa parla: Un passeggero in volo che scorge fuori dall’oblò sulle ali dell’aereo una strana presenza, ma nessuno sembra credergli. Una donna anziana riceve una serie di angoscianti telefonate: al di là del filo, una voce, inizialmente molto lontana, e poi sempre più vicina: c’è qualcuno disposto ad aiutarla? Un automobilista viene fermato per eccesso di velocità, arrestato e condotto davanti a un giudice senza spiegazioni: che c’entri qualcosa quello strano cartello visto lungo la strada? Una bambola regalata a un appassionato di occultismo è un dono quanto meno singolare, o no?

Commento: In tempi antichi, l’incubo (etimologicamente “colui che giace sopra”) era un demone che, durante il sonno, si congiungeva anche carnalmente con il dormiente (il succubo, “colui che giace sotto”). Non sempre, dunque, gli incubi hanno avuto o hanno una spiegazione razionale. E, in fondo, anche Freud lascia molto più spazio all’ambiguità di quanto le sue teorie non facciano credere. Da un maestro del “fantastico” come Matheson, dunque, non ci si può aspettare che tutto torni; lo dimostra questa raccolta di diciassette racconti bellissimi e inquietanti che mettono a nudo il lato perturbante della quotidianità con uno stile asciutto e spoglio ma al tempo stesso capace di geniali variazioni. Muovendosi con abilità nell’immaginario horror (non mancano storie di vampiri, streghe, case infestate, evocazioni di morti), l’autore mostra una padronanza assoluta della misura del racconto, di cui conosce alla perfezione la grammatica, fatta di ricorso alla suspense, colpi di scena, finali a sorpresa, capovolgimenti delle attese. Il conflitto tra la razionalità e l’assurdo che irrompe nella realtà stravolgendola non è mai risolto a favore della prima, come nel giallo tradizionale, ma apre squarci di inquietudine destinati a non richiudersi: un volo in aereo, un vestito di seta bianca, gli oggetti di arredamento di casa, una telefonata o l’apparentemente innocuo canto dei grilli (protagonista di uno dei racconti più angoscianti) non sembreranno più gli stessi…

GIUDIZIO: ****

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI

Cos’è, dunque, un incubo? Una proiezione del passato? Un’anticipazione del futuro? O forse solo una fotografia del presente? Se Franz Kafka ci ha chiarito definitivamente che non c’è incubo tanto orribile da poter essere respinto del tutto al di fuori di noi, ossia del nostro mondo, della realtà così come l’abbiamo conosciuta e continuiamo a conoscerla, a inizio Novecento per un autore come Corrado Govoni, tra i più vivaci creatori di immagini della poesia italiana di inizio secolo (e in una stagione dominata da calibri come Pascoli e D’Annunzio non era facile ricavarsi uno spazio, se non di risulta), l’incubo aveva le fattezze, terribilmente tentatrici (ma anche ironicamente resistibili), di una donna nuda:

Io non so, ma mi sembra che qualcosa
d’ostinato e indicibile m’insegua;
mi sembra che una forma misteriosa
mi pedini, che non mi lascia tregua:

qualche cosa così lussuriosa
da infiammare il mondo che la segua,
una cosa indecisa ed orgogliosa
che allor che sto afferrandola dilegua.

Indarno chino il capo tra le mani
sugli incunabuli veneziani
ornati dal velino e da l’alluda,

poiché le poesie belle ingombra
implacata continuamente l’ombra
d’una donna procace tutta ignuda.

Se già Govoni osservava l’impossibilità di liberarsi dei propri incubi, ancora più radicale, in questa direzione, è la riflessione di Jorge Luis Borges, che, di fronte alla visione onirica di un antico re vichingo, finisce per accorgersi dell’impossibilità di distinguere tra chi sogna e chi è sognato: essendo il sogno una proiezione interiore, è vano sperare di liberarsene e, anzi, ai propri incubi si può solo soggiacere (si torna così all’idea antica del demone che giace su di noi, rendendoci suoi succubi):

Sogno un antico re. Di ferro
è la corona e morto lo sguardo.
Non ci sono più di queste facce. La ferma spada
lo rispetterà, leale come il suo cane.
Non so se è di Northumbria o di Norvegia.
So che è del Nord. La folta e rossa
barba gli copre il petto. Non mi getta
uno sguardo, il suo sguardo cieco.
Da quale spento specchio, da quale nave
dei mari che furono la sua avventura,
sarà spuntato l’uomo grigio e grave
che mi impone la sua antichità e la sua amarezza?
So che mi sogna e che mi giudica, eretto.
Il giorno entra nella notte. Non se n’è andato.

Testi citati:
Corrado Govoni – INCUBO, in “Le fiale” (1903)
Jorge Luis Borges – L’INCUBO, in “La rosa profonda” – traduzione di Livio Bacchi Wilcock (1975)