L’ATTENTATO – Harry Mulisch

# 280 – Harry Mulisch – L’ATTENTATO (Feltrinelli, 1986, ediz. orig. 1982, pagg. 175)

Gennaio 1945: in una strada residenziale di Haarlem, nell’Olanda occupata dai Nazisti, qualcuno fredda a colpi di pistola l’odiato poliziotto collaborazionista Fake Ploeg, che stava rincasando in bicicletta. Gli abitanti della villetta davanti alla quale Ploeg è caduto ucciso, terrorizzati dalla possibile rappresaglia dei tedeschi, si affrettano a spostare il cadavere, depositandolo davanti alla casa dell’incolpevole famiglia Steenwijk. Le SS non perdonano, e per gli Steenwijk si consuma una tragedia che segnerà la vita del figlio più giovane, Anton, appena dodicenne all’epoca dell’attentato. Unico superstite della famiglia, Anton cresce tra la voglia di dimenticare completamente l’accaduto e la spinta a cercare un regolamento di conti col passato che appare, a tratti, inevitabile, come quando, per caso, a un funerale, incontra il rabbioso ex-partigiano Cor Takes, autore materiale dell’attentato, o quando ritrova Karin, la figlia dell’uomo che aveva spostato il cadavere di Ploeg davanti a casa sua, nel 1945. Ma ci sarà davvero una spiegazione all’orrore? E anche ammesso che la si trovi, l’orrore può in qualche modo stemperarsi ed essere superato?

Travestendosi da giallo, questo romanzo di Harry Mulisch (pluripremiato scrittore olandese nato nel 1927 e venuto a mancare nel 2010) racconta un dramma familiare raggelato e imprigionato nelle pieghe della Storia, e si confronta con un orrore e un’ingiustizia oggettivamente troppo grandi per essere compresi. Attingendo, con tutta evidenza, anche ai suoi ricordi della Seconda Guerra Mondiale e dell’occupazione del suo Paese da parte dei tedeschi, Mulisch dipinge un quadro terribile e angosciante delle lacerazioni che la guerra ha lasciato dietro di sé, costringendo il lettore ad ammettere che in fondo la guerra, per chi l’ha sperimentata sulla propria pelle, non è mai finita.

Tanto il protagonista Anton, che ha visto la sua famiglia sterminata in una sola notte per un banale malinteso, quanto l’ex-partigiano Takes, che di quel malinteso è, in fondo, uno dei responsabili, sono vittime collaterali di uno stato di cose che non si sarebbe dovuto verificare. L’ingiustizia, sembra dire Mulisch, viene da lontano, è una sorta di peccato originale cui nessuno può sfuggire, perché una volta immersi in essa (nell’ingiustizia di una guerra atroce e di un’occupazione dura e senza scrupoli) ogni azione può causare conseguenze spaventose, ogni decisione (anche quelle prese con le migliori intenzioni) può determinare la vita o la morte di perfetti innocenti.

Leggendo, pensavo: se questo libro non ha un finale-bomba, è una delusione. Ebbene, forse non sarà una bomba, ma il finale c’è eccome e il libro complessivamente non delude, anche se la lettura chiede un po’ di pazienza, tanto per entrare nella materia nel racconto quanto per familiarizzare con personaggi che spesso il racconto lo attraversano solo per un breve tratto.

Mulisch, infatti, sceglie di raccontare questa tetra vicenda di casualità e orrore aggrappandosi a cinque momenti distinti, a cinque macro-scene che si distribuiscono lungo tutta la vita del protagonista, Anton Steenwijk, incolpevole superstite di una strage che gli ha azzerato, in un’unica notte, la famiglia, padre, madre e fratello maggiore. Così facendo, i momenti nei quali il libro si divide diventano una sorta di scene primarie, si caricano di significati reconditi, un po’ come il bel quadro di Carel Willink scelto per la copertina dell’edizione italiana, dal significativo titolo “Cattive notizie”, e se questa struttura impedisce in parte al lettore di empatizzare coi personaggi, che restano “prigionieri” di pochi istanti, di brevi sequenze, dall’altra parte consente al romanzo di mantenere un’andatura e un tono asciutti e rigorosi, come un teorema dell’orrore, che di incontro in incontro, di episodio in episodio, avvicina il lettore a una possibile comprensione, se non altro, dell’accaduto.

Ha senso, sembra chiedersi l’Autore, cercare il senso di un evento tanto atroce e inimmaginabile? Ha un senso la guerra? Hanno un senso le sofferenze indicibili di chi può solo subirla? Probabilmente no, e non mancano ragioni anche da parte di chi apparentemente ha torto marcio, come dimostra il bel dialogo tra Anton e il figlio di Fake Ploeg, la vittima dell’attentato da cui tutto è scaturito.

Con pennellate forti ed energiche e, allo stesso tempo, ordinate e precise, Harry Mulisch costruisce una macchina di senso che, dopotutto, funziona e regala al lettore, se non altro, una spiegazione che certo non cancella l’accaduto e non pone rimedio a un bel niente, ma che si presenta come la soluzione a un giallo storico ben architettato e, a modo suo, simbolico di un tempo e di un’epoca (non a caso, il padre di Anton, poco prima che accada la tragedia, stava parlando coi suoi figli proprio del termine greco symbolon).

Gelido e distaccato, intelligente nella costruzione e caratterizzato da uno stile consapevole e inesorabile, “L’attentato” è un giallo atipico e privo di azione, un grido silenzioso e cristallizzato, come un monumento alla memoria (collettiva) di un’epoca – speriamo – irripetibile.    

Bullet

(Recensione scritta ascoltando Agnes Obel, “Riverside”)

PREGI:
abile nel far progredire una storia in cui tutto accade nelle prime pagine, e il seguito non è che il tentativo del protagonista (riluttante, peraltro) di spiegarsi perché una simile sciagura debba essere capitata proprio alla sua famiglia, “L’attentato” è un romanzo intelligente e consapevole, che piacerà a chi ama la scrittura riflessiva e posata

DIFETTI:
pieno di personaggi scostanti ed enigmatici, a partire dal protagonista, e attraversato da una disperazione senza nome, è un libro duro e anaffettivo, che concede molto spazio al “fuori campo” e si permette di introdurre personaggi e situazioni ex abrupto, senza contestualizzazioni e, dunque, con poca possibilità di empatia da parte del lettore  

CITAZIONE:
“L’unica realtà che vale è quella concreta, ossia che chi è stato fatto fuori da uno non è stato fatto fuori da un altro. Ploeg l’abbiamo fatto fuori noi, la tua famiglia l’hanno fatta fuori i crucchi. Se sei convinto che sarebbe stato meglio se non l’avessimo fatto, dovresti essere anche convinto che sarebbe stato meglio se la razza umana non fosse mai esistita, visto come si è comportata nel corso della storia.” (pag. 109)

GIUDIZIO SINTETICO: **½

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
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***1/2
****
ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO