LECTIO BREVIS / 105

Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati

A cura di Roberto Mandile

PUNTATA 105
GLI INCERTI DEL NATALE
Piccola guida letteraria sul come guastare o guastarsi le feste

Moray Dalton – NATALE CON DELITTO (1931)

Di cosa parla: A corredo della cena in maschera organizzata, pochi giorni prima di Natale, da George Tunbridge e signora, è previsto un originale intrattenimento: gli ospiti sono invitati a giocare a nascondino al buio nelle numerose stanze della dimora di campagna di Laverne Peveril. Sul più bello però Hugh Darrow, uno dei partecipanti, interrompe bruscamente il gioco: nel luogo in cui aveva deciso di nascondersi, infatti, ha scoperto un cadavere. Si tratta di un altro degli ospiti, Edgar Stallard, scrittore di gialli, colpito a morte da un coltello. Il fatto è che Darrow è cieco e molti sembrano convinti della sua colpevolezza. Non la pensa così il sergente Lane, le cui indagini non sono però ben viste da tutti…

Commento: Natale e delitti, prima puntata. La linea l’ha dettata Agatha Christie. Per molti anni l’uscita di un suo nuovo libro avveniva poco prima di Natale: l’appuntamento fisso faceva la gioia dell’editore e dei lettori, creando una consuetudine e rafforzando il legame tra crimini letterari e festività natalizie. È nel solco di questa tradizione che Polillo decide di intitolare questo romanzo “Natale con delitto” (in originale è, più coerentemente, “The Night of Fear”), uno dei ventinove gialli scritti da un’autrice che fu contemporanea e conterranea di alcune delle più grandi scrittrici di polizieschi dell’Età dell’oro del giallo, dalla stessa Agatha Christie a Dorothy L.Sayers, ma non ha avuto, nel tempo, lo stesso successo. Peccato perché questo romanzo svolge in modo apprezzabile, pur senza particolari picchi, i fondamentali del giallo a enigma: l’atmosfera natalizia, come si diceva, è in realtà solo abbozzata, ma il delitto è sufficientemente originale e il rigore dell’indagine, lo svolgimento dell’inchiesta e del processo ai danni dell’indiziato principale nonché lo scioglimento non lasciano insoddisfatti.

GIUDIZIO: **½

Ellery Queen – COLPO DI GRAZIA (1958)

Di cosa parla: Natale 1929. Ellery Queen trascorre le festività in casa di un amico poeta, John Sebastian, con un assortito gruppo di altri ospiti. I giorni trascorrono nell’attesa del 6 gennaio, quando John compirà 25 anni, entrerà in possesso dell’eredità paterna, si sposerà e pubblicherà il suo primo libro. Ma il clima di festa è guastato da alcuni fatti strani: l’apparizione di un misterioso Babbo Natale, il rinvenimento in casa del cadavere di uno sconosciuto e una serie di regali accompagnati da bizzarri e minacciosi biglietti…

Commento: Natale e delitti, seconda puntata. Sul finire degli anni Cinquanta la premiata coppia di cugini Dannay-Lee, a quasi trent’anni dall’esordio nella narrativa gialla, decide di porre fine alle avventure investigative di Ellery Queen e di suo padre, l’ispettore Richard. È probabile che i due avessero fiutato che, con il passare del tempo, l’età del giallo classico era ormai volta al termine (si ricredettero, almeno parzialmente, nel decennio successivo, dando alle stampe altri libri). Fatto sta che, per conferire credibilità all’ambientazione di questa storia, gli autori decidono di giocare due carte vincenti: la retrodatazione e l’atmosfera natalizia. La vicenda narrata risale infatti al 1929, come spiega l’autocitazione contenuta nella cornice del romanzo, con il riferimento al primo caso di Ellery Queen, narrato ne La poltrona n. 30, uscito appunto in quell’anno. Il resto lo fa il Natale, sfondo ideale per un enigma nel tipico stile degli autori (che riprendono anche la “Sfida al lettore”, abbandonata nel lontano 1936), ben congegnato e funzionale a scandire il ritmo della vicenda: arzigogolata quanto basta la soluzione.

GIUDIZIO: **½

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI

Tutti i Natali felici si assomigliano. Ogni Natale infelice è infelice a modo suo. Non c’è solo l’incubo di un delitto a poter rovinare le festività natalizie. Sotto l’albero addobbato, al riparo dei rami di vischio, sulle tavole imbandite, tra le prelibate pietanze preparate per l’occasione o nei pacchetti dei regali, spesso si scorge un alone, si annida una crepa che finisce per gettare un’ombra sul clima generale di gioiosa partecipazione alla festa. È questo il caso, ad esempio, narrato con la consueta grazia da Irène Némirovsky in un racconto delicato intitolato semplicemente Noël (tradotto di recente in italiano come Natale a Parigi).

Presentato sotto le vesti di un soggetto cinematografico, il testo ci presenta il quadro di una famiglia dell’alta borghesia che, durante i festeggiamenti natalizi, deve fare i conti con un dramma in corso: una delle figlie, Claudine, che si è innamorata di un bel giovane argentino, Ramon, ha scoperto di essere rimasta incinta. Peccato che, quando lei glielo rivela, lui le risponda, con garbo, ma non riuscendo a celare la sua contrarietà: “Accidenti… una bella scocciatura…”.  Il fatto è che, secondo quando si è appreso, Ramon è già fidanzato nel suo paese e, messo alle strette, le fa capire che dovrà lasciarla: “Parto domani mattina, povera cara, torno a casa per sposarmi… Mi dispiace tanto, ve lo giuro, mi dispiace tanto…”. Alla povera cara Claudine non restano che due possibilità: dirlo ai genitori, alle prese a loro volte col fallimento del loro matrimonio, o ridursi a mettere in atto qualche gesto estremo. Ma la ragazza non ha fatto i conti con un altro giovane spasimante, Édouard Saulnier, “piccolo, brutto, dall’aspetto bonario e timido”. In ogni modo, l’atmosfera natalizia sarà irrimediabilmente guastata: se ne sono accorti anche i bambini di casa, cui l’autrice affida l’ultima scena del racconto, quando, a festa ormai finita, l’albero di Natale, “triste e coi rami spezzati, consuma gli ultimi mozziconi di candela” e una musica malinconica si spegne lentamente. 

Diversa l’inquietudine che tocca il narratore del racconto La messa di quest’anno di Luigi Pirandello. Tutti gli anni per Natale, l’uomo torna a Cargiore, il paese di cui è originario, solo per stare qualche giorno con la vecchia zia Velia, unica rimasta ormai della sua famiglia. La “povera vecchina” – così racconta – “ogni anno, per Natale, si fa in quattro per accogliermi con la massima festa, mi prepara i cibi tradizionali della nostra famiglia, mi vessa, quasi, di cure, nei tre giorni che passo con lei”. Ma quest’anno, al suo arrivo, egli trova “la povera zia Velia in lagrime e desolata”. L’angoscia della donna, che non ha preparato niente, ha un nome e cognome: quello di don Venanzio Grotti, il nuovo curato, che da quando è giunto in paese, sei mesi prima, ha imposto un nuovo corso, all’insegna del pauperismo più rigoroso: via le “delicatezze” che le fedeli parrocchiane avevano regalato al vecchio curato, il religioso è rimasto “con un letticciuolo, un tavolino, una cassapanca e tre seggiole impagliate”. Non solo: ha spogliato la chiesa, che senza gli ori antichi, le candele agli altari, le frange dei paramenti sacri, è ridotta “una stalla”. E così ha imposto la stessa linea ai suoi fedeli, proibendo il cenone e ingiungendo loro di fare penitenza anche il giorno di Natale “perché – spiega la zia Velia – siamo diventati pagani”.

Attraverso una vicenda paradossale, ma non troppo, Pirandello offre una delle più acute riflessioni sul senso della ricorrenza religiosa che, nella tradizione e nella percezione popolare, è la festa per eccellenza della gioia, dell’abbondanza, dell’eccezione (così almeno era una volta). Ma, in realtà, nella figura di don Grotti, come chiarisce lo stesso narratore, si ravvisa il prototipo di quei “disgraziati” che credono di “guarire tutti i malanni che ci procura la vita”, il campione di coloro che filtrano il sentimento con la pompa della logica, al punto da farlo diventare “idea astratta, generale”, con il risultato di intossicare a sé e agli altri l’esistenza terrena in nome di una purezza celeste di là da venire. Per fortuna, sostiene Pirandello, il Cattolicesimo (ossia il buon senso di una religione terrena) ha saputo essere più logico di Cristo, permettendo le feste. Richiamo sempre valido contro tutti gli estremismi, le utopie, le chimere che vogliono cancellare la realtà per sostituirla con un ideale.

Testi citati
Irène Némirovsky – NATALE (1931)
Luigi Pirandello – LA MESSA DI QUEST’ANNO (1905)