LECTIO BREVIS / 107

Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati

A cura di Roberto Mandile

PUNTATA 107
AUTOBIOGRAFIE (QUASI) FALSE
Come raccontare di sé essendo o volendo diventare
un grande scrittore

Charles Dickens – DAVID COPPERFIELD (1850)

Di cosa parla: David Copperfield viene alla luce a Blunderstone, in Inghilterra, sei mesi dopo la morte del padre, di cui porta lo stesso nome. Cresce con la giovane e debole madre, Clara, e la saggia e affettuosa governante, Peggotty. A sette anni nella vita di David fa la comparsa Mr. Murdstone, uomo rigido e austero, che la madre finirà per sposare. Murdstone, che si trasferirà nella casa della moglie insieme alla altrettanto insensibile sorella, imporrà al piccolo Copperfield un’educazione severissima, non esitando a picchiarlo, finché, di fronte a una reazione del bambino, lo allontanerà per farlo educare nel collegio diretto dal crudele Mr. Creakle: qui David conoscerà alcuni ragazzi di cui diventerà amico, ma di lì a poco sarà atteso a nuove prove…

Commento: L’ottavo romanzo di Dickens, tra i più celebri della sua produzione e tra i più adattati per il cinema e la tv, nonché il più amato da Dickens stesso, è quello in cui sono più rintracciabili tracce autobiografiche, specialmente nella prima parte: nell’infanzia di David Copperfield (le cui iniziali, a rovescio, sono le stesse dello scrittore, ma le allusioni di questo tipo abbondano nel libro) riecheggiano alcune vicende che segnarono anche la vita di Dickens, in particolare l’esperienza di lavoro in fabbrica, vissuta da entrambi, personaggio e autore, come un trauma. Allo stesso modo la storia di formazione di David, che diventerà scrittore, non può non rinviare a quella dello stesso Charles. Ma sarebbe fuorviante pensare al romanzo come a un esempio ante litteram di autofiction, non solo perché Dickens ebbe sempre una certa difficoltà a parlare di sé ma soprattutto per la ricchezza di trame e sottotrame che, attraverso una vastissima galleria di personaggi, percorre le ottocento pagine del libro. Ricorrendo a tutti i trucchi narrativi tipici della pubblicazione a puntate, che Dickens adottò per tutti i suoi romanzi, l’autore ci offre non solo una panoramica sull’Inghilterra di metà Ottocento (sull’educazione, sul lavoro minorile, sul funzionamento della giustizia, sulle differenze di classe sociale, ecc.), ma anche un formidabile ventaglio di tutte le emozioni possibili, con una varietà di toni che riescono a commuovere e a divertire ancora oggi, per quanto certe virate verso il patetico appaiano forse di maniera al gusto moderno, che vi riconosce stilemi retorici un po’ abusati (dal melodramma al feuilleton, dal fotoromanzo alla soap opera). Indimenticabili l’incipit (“Queste pagine diranno se sono proprio io l’eroe della mia vita o se questo posto tocca a qualcun altro”) e le successive osservazioni sul fatto di essere nato di venerdì, il che avrebbe destinato David Copperfield, secondo l’opinione comune, a una vita infelice e al privilegio di vedere spiriti e fantasmi.

GIUDIZIO: ***½

Charles Bukowski – PANINO AL PROSCIUTTO (1982)

Di cosa parla: Dal primo ricordo, nel 1922, quando, ancora in Germania, all’età di uno o due anni, al protagonista piaceva nascondersi sotto le gambe del tavolo, al 7 dicembre 1941, il giorno in cui, con l’attacco di Pearl Harbour, gli USA entrano nella Seconda guerra mondiale, la fanciullezza e soprattutto l’adolescenza di Henry Chinaski sono segnate dalla povertà della famiglia in cui cresce, a Los Angeles, durante la Grande Depressione degli anni Trenta, con un padre ubriacone e violento e una madre succube, ma anche dalle risse e dalla vita di strada con i compagni di scuola, dall’avvicinamento all’alcol, al baseball e alla letteratura, dalla scoperta del sesso e dalle sofferenze patite a causa di una grave forma di acne…

Commento: È l’ultimo, quanto a stesura, dei quattro romanzi che vedono in scena l’alter ego di Bukowski, ma è anche il primo sul piano della cronologia della vita di Henry Chinaski. Mescolando, come sempre, autobiografismo e invenzione letteraria, lo scrittore, figlio di immigrati tedeschi cresciuto in California, dà vita a un solidissimo romanzo di formazione, per quanto si tratti di una formazione alla rovescia, scandita da un’indole quanto mai allergica al conformismo dominante e incline a una ribellione che sembra farsi vocazione irrimediabile. Se il titolo originale (Ham on Rye) è un rimando abbastanza esplicito al modello letterario per eccellenza dell’adolescente ribelle, il giovane Holden (il titolo originale del romanzo di Salinger, scritto più di trent’anni prima, è The catcher in the Rye), il personaggio di Chinaski è troppo originale per patire confronti. E se Bukowski ha abituato i suoi lettori a un linguaggio esplicito e a un realismo estremo, soprattutto dei dialoghi (non mancano però nella sua opera tratti surreali e onirici), qui tutto è portato all’estremo: durissimo è il quadro dell’America di quegli anni, e i pugni nello stomaco (implacabili come quelli che Henry tira in continuazione contro quasi chiunque) sono numerosi, a partire dalla descrizione del rapporto impossibile con il padre per finire con la cupa condizione di un Paese che, uscito a fatica dalla Depressione, si avvia, tra patriottismo retorico e indifferenza, nelle braccia di una guerra già terribile in partenza. Anche gli elementi vitali della poetica bukowskiana qui o sono portatori della loro carica di disperazione, come l’alcol, o sono abbastanza marginali, come la passione per la letteratura e la scrittura.   

GIUDIZIO: ***

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI

Da Sant’Agostino a Dante (la Vita nova è, prima di tutto, un mirabile esempio del genere), da Petrarca a Goldoni, da Vico ad Alfieri si può forse sostenere che l’autobiografia attraversa i secoli plasmandosi di volta in volta in forme diverse, più o meno fantasiose, più o meno sincere. Fra i casi forse meno noti c’è quello di Giacomo Leopardi, che nel 1828 progettò un’autobiografia romanzata, rimasta incompiuta, dal titolo Storia di un’anima; il grande poeta, così introduceva l’opera, con una professione di modestia che, per quanto retorica, è anche indicativa di un anelito universale, a smentire l’idea che, alla base della sua filosofia, si debbano riconoscere gli accidenti di una vita straordinariamente infelice:

“Incomincio a scrivere la mia Vita innanzi di sapere se io farò mai cosa alcuna per la quale debbano gli uomini desiderare di aver notizia dell’essere, dei costumi e dei casi miei. Anzi, al contrario di quello che io aveva creduto sempre per lo passato, tengo oramai per fermo di non avere a lasciar di me in sulla terra alcun vestigio durevole. […] Intitolo questo mio scritto, istoria di un’anima, perché non intendo narrare se non se i casi del mio spirito, e anche non ho al mio racconto altra materia, perocché nella mia vita niun rivolgimento di fortuna ho sperimentato fin qui, e niuno accidente estrinseco diverso dall’ordinario né degno per sé di menzione. Né pure i casi che narrerò del mio spirito, credo già che sieno né debbano parere straordinari: ma pure con tutto questo mi persuado che agli uomini non debba essere discara né forse anche inutile questa mia storia, non essendo né senza piacere né senza frutto l’intendere a parte a parte, descritte dal principio alla fine per ordine, con accuratezza e fedeltà, le intime vicende di un qualsivoglia animo umano.”

Se cenni e riferimenti autobiografici non mancano nei versi di quasi nessun poeta, il più esplicito in questo senso è probabilmente Umberto Saba, il cui Canzoniere, che raccoglie tutte le sue poesie,è pensato come un’autobiografia in versi (la prima edizione del 1921 si è andata ampliando nei decenni successivi con i nuovi componimenti, fino all’edizione definitiva, pubblicata postuma, nel 1965). Tra le varie sezioni che lo compongono, una, scritta nel 1924, si intitola proprio Autobiografia ed è composta di quindici sonetti. Nel primo Saba, ormai maturo (all’epoca della composizione aveva quasi quarant’anni), propone una sorta di dolceamaro bilancio, tra autocommiserazione e orgogliose rivendicazioni, della propria vita, indissolubilmente legata alla letteratura e alla ricerca, tormentata, di riconoscimenti: 

“Per immagini tristi e dolorose
passò la giovanezza mia infelice,
che l’arte ad altri ha fatte dilettose,
come una verde tranquilla pendice.

Tutto il dolor che ho sofferto non lice
dirlo, né voglion mie rime festose.
Amano esse chi in suo cuore dice:
Per rinascer torrei le stesse cose.

A viver senza il molto ambito alloro
fui forse il solo poeta italiano;
né questo ancor mi fa un’anima amara.

Quando un debole sono non m’accoro.
L’orgoglio è il mio più buon peccato umano.
La mia giornata a sera si rischiara.”

Testi citati
Giacomo Leopardi – STORIA DI UN’ANIMA (1828)
Umberto Saba – Per immagini tristi e dolorose, in AUTOBIOGRAFIA (1924)