Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati
A cura di Roberto Mandile
PUNTATA 109
ESSERE PROFESSORI
Odi, rivalità, invidie della vita accademica, ma anche l’umiltà del (non) sapere
Giuseppe Pontiggia – IL GIOCATORE INVISIBILE (1978)
Di cosa parla: La vita di un professore universitario, all’apice della sua carriera accademica, cambia quando si ritrova attaccato da una lettera anonima pubblicata sulla rivista di filologia classica “La parola agli antichi”. Il motivo? Aver riportato in modo inesatto, in un articolo su un rotocalco di successo, l’etimologia della parola “ipocrita”. Per il diretto interessato è un colpo basso, che lo porta a sospettare di tutti: chi è il colpevole? La ricerca del misterioso nemico si allarga a tutta la vasta cerchia di colleghi e allievi, ma l’impossibilità di venire a capo della questione diventerà per il professore un’ossessione vera e propria che finirà per coinvolgere anche la sua vita privata…
Commento: “Ma siamo ancora a questo! […] Che tu credi al linguaggio. Il linguaggio serve per difendersi, per aggredire, per ingannare e ingannarsi, non per capire. Tutto va reinterpretato, altro che le scritture arcaiche, è un lavoro immane”. È in queste parole che un collega rivolge al protagonista – siamo verso la fine del romanzo – la chiave di lettura di questo libro, che esalta, al contempo, la sensibilità linguistica dell’autore, raffinato classicista, e la sua profonda umanità. Pontiggia, capace come pochi di scavare nelle parole come nelle anime dei suoi personaggi, sa benissimo che raccontare l’odio è difficilissimo; proprio per questo è ancora più ammirevole la scelta del punto di vista del romanzo, quello di un gruppo di filologi e letterati, ossia di uomini (sono tutti maschi i professori e gli assistenti) di cultura. Tanto capaci di fini disquisizioni sulle parole quanto invischiati in meschinità e piccinerie che ne rivelano vizi, debolezze e ossessioni. La filologia si rivela così una chiave di lettura degli stessi rapporti umani: alleata preziosa nella ricostruzione dei testi, diventa pura pedanteria se perde di vista il fine ultimo, ossia l’interpretazione dei significati. Il linguaggio, dunque – come osservano più volte i personaggi e com’è chiaro nel corso delle indagini del professore alla ricerca del responsabile – è solo una mistificazione, se non c’è la capacità di andare oltre, se manca cioè la comprensione, cui dovrebbe puntare non solo la lettura dei testi, ma anche e soprattutto ogni tentativo di relazione tra gli individui. L’odio – come direbbero i filologi – è forse solo un locus desperatus, l’impossibilità assoluta di capire (una persona, come un passo letterario).
GIUDIZIO: ***
Colin Dexter – IL MISTERO DEL TERZO MIGLIO (1983)
Di cosa parla: Oxford. Un cadavere senza testa, braccia e gambe viene ritrovato in un canale. Nel frattempo il professor Browne-Smith, che insegna lettere classiche al Lonsdale College, è misteriosamente scomparso nel nulla. I due eventi sono collegati tra loro? L’ispettore Morse ha pochi elementi da cui partire: tra questi, una lettera strappata rinvenuta nella tasca della giacca del cadavere. Ma per l’investigatore, l’indagine è anche un ritorno al suo passato di studente nella stessa facoltà del docente scomparso. E il mondo accademico si rivela fin da subito come un ambiente tutt’altro che sereno…
Commento: I crimini in ambito universitario sono un classico del giallo anglosassone a enigma (alcuni titoli tra i tanti: Il caso del sette del calvario di Anthony Boucher, Assassinio all’università di Thomas Kyd, Morte nello studio del rettore di Michael Innes, Delitti al college di Clifford Orr, tutti pubblicati in Italia da Polillo). Colin Dexter, che a sua volta era laureato in Lettere Classiche e fu docente di latino e greco, è quanto mai a suo agio nell’ambito accademico, non foss’altro che per il fatto che l’ispettore Morse espleta le sue funzioni principalmente nell’Oxfordshire, regione universitaria per eccellenza. La vicenda al centro di questo romanzo, sufficientemente complicata e tragica come di consueto (il numero dei morti nei libri di Dexter è spesso notevole), si rivela in realtà piuttosto lineare nella soluzione. La scrittura è, al solito, avvolgente; il titolo è una citazione evangelica.
GIUDIZIO: ***
PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI
Essere professori, come dimostrano i due casi appena commentati, non significa essere al di sopra di ogni sospetto, o di ogni morale. Uno degli inganni più ridicoli del nostro tempo risiede nel credere che la cultura elevi, salvi e conduca inevitabilmente al bene. La vita è altra cosa, e la conoscenza, anche ai massimi livelli, non è garanzia di niente. E allora la coltivazione del dubbio, il “non sapere” socratico, l’ironia, la meraviglia e l’umiltà di fronte a ciò che si ignora sono forse l’unico antidoto alla supponenza che il sapere rischia di produrre in chi pensa di essersene appropriato e di doverlo solo dispensare. È così, ad esempio, per il vecchio professore di cui parla in una sua poesia Wisława Szymborska, con la consueta illuminante semplicità:
“Gli ho chiesto di quei tempi,
quando ancora eravamo così giovani,
ingenui, impetuosi, sciocchi, sprovveduti.
È rimasto qualcosa, tranne la giovinezza
– mi ha risposto.
Gli ho chiesto se sa ancora di sicuro
cosa è bene e male per il genere umano.
È la più mortifera di tutte le illusioni
– mi ha risposto.
Gli ho chiesto del futuro,
se ancora lo vede luminoso.
Ho letto troppi libri di storia
– mi ha risposto.
Gli ho chiesto della foto,
quella in cornice sulla scrivania.
Erano, sono stati. Fratello, cugino, cognata,
moglie, figlioletta sulle sue ginocchia,
gatto in braccio alla figlioletta,
e il ciliegio in fiore, e sopra quel ciliegio
un uccello non identificato in volo
– mi ha risposto.
Gli ho chiesto se gli capita di essere felice.
Lavoro
– mi ha risposto.
Gli ho chiesto degli amici, se ne ha ancora.
Alcuni miei ex assistenti,
che ormai hanno anche loro ex assistenti,
la signora Ludmilla, che governa la casa,
qualcuno molto intimo, ma all’estero,
due signore della biblioteca, entrambe sorridenti,
il piccolo Jas che abita di fronte e Marco Aurelio
– mi ha risposto.
Gli ho chiesto della salute e del suo morale.
Mi vietano caffè, vodka e sigarette,
di portare oggetti e ricordi pesanti.
Devo far finta di non aver sentito
– mi ha risposto.
Gli ho chiesto del giardino e della sua panchina.
Quando la sera è tersa, osservo il cielo.
Non finisco mai di stupirmi,
tanti punti di vista ci sono lassù
– mi ha risposto.”
Una prospettiva apparentemente opposta ma per altri versi contigua a quella del vecchio professore di Wisława Szymborska appartiene al “professore” protagonista del bellissimo racconto Notizie degli scavi di Franco Lucentini. Qui “professore” è il soprannome con cui, con il tipico gusto sarcastico tutto romano, è chiamato un ritardato che vive in una scalcinata ed equivoca pensioncina dove svolge una serie di lavoretti e servizi per la “signora”, la proprietaria. La sua vita, fatta di sottomissione, obbedienza ma anche di una sostanziale inconsapevolezza della propria inferiorità, cambierà grazie alle visite in ospedale alla Marchesa, una signorina che un anno prima era stata ospite della stessa pensione in cui lui vive e che si è sparata un colpo di pistola dopo essere stata lasciata dalla sua nuova coinquilina. Ma ciò che ha impresso una vera svolta, nella sua nebulosa e larvale percezione del mondo, è l’incontro con i resti di antichi monumenti di età romana, in particolare quelli di Villa Adriana. Pur attraverso gli sdrucciolevoli percorsi della sua mente, riflessi da un linguaggio precario, limitato e fatto di un vocabolario minimo, il “professore” attinge però una verità metafisica, che è al tempo stesso riscatto e rassegnazione. Di fronte ai paesaggi di rovine e alle incertezze interpretative degli esperti, che sono in grado di avanzare solo ipotesi o, più spesso, devono ammettere la propria ignoranza in merito a ciò che il tempo ha irrimediabilmente cancellato e reso inaccessibile alla conoscenza dei posteri, il “professore” intuisce che, in fondo, anche la sua scarsa funzionalità, la sua impossibilità di attingere alla (apparente) razionalità che pare dominare il mondo, non sono solo scusabili ma forse – lascia intendere Lucentini – devono essere intesi come la vera chiave di lettura della realtà, e della vicenda umana nel suo complesso. Perché, come chiosa il “professore” (e pure l’ironia del soprannome alla fine sembra rovesciarsi nel suo opposto) nella conclusione del racconto: “ma che poi chi lo sa chi eravamo, e tutto quanto che era”.
Testi citati
Wisława Szymborska – IL VECCHIO PROFESSORE, in “Due punti” – traduzione di Pietro Marchesani (2006)
Franco Lucentini – NOTIZIE DEGLI SCAVI (1964)