Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati
A cura di Roberto Mandile
PUNTATA 112
DONNE E POTERE: UNA COMBINAZIONE (IM)POSSIBILE?
Rapporti di forza al maschile e al femminile tra utopie e distopie di ieri e di oggi
Aristofane – LE DONNE AL PARLAMENTO (392 a.C.)
Di cosa parla: Sotto la guida di Prassagora, le donne di Atene si travestono da uomini per partecipare all’assemblea e votare per un provvedimento inaudito: affidare il governo della città alle donne. Una volta giunte al potere, decretano che tutti i beni saranno comuni e che anche i rapporti sessuali dovranno essere ugualitari: gli uomini dovranno anzi dare la precedenza alle donne brutte. Inizialmente, il marito di Prassagora, Blepiro, e il suo vicino di casa, Cremete, sono perplessi ma presto si convinceranno della bontà delle decisioni prese, anche se non tutti si mostreranno entusiasti della rivoluzione…
Commento: La penultima delle undici commedie di Aristofane pervenutaci (delle quaranta attribuitegli) è stata sempre messa in relazione con la precedente Lisistrata (andata in scena più di vent’anni prima): là le donne, per far terminare la guerra tra Atene e Sparta, imponevano ai mariti lo sciopero del sesso; qui addirittura prendono il potere della città. Il rovesciamento dei ruoli tradizionali è un topos della commedia antica e di molti dei generi letterari che da essa si sono sviluppati nel corso dei secoli. L’iniziativa di Prassagora viene presentata come l’unica e l’ultima delle soluzioni politiche che Atene non ha ancora sperimentato, ma ciò non toglie che, al di là dei limiti pratici all’attuazione delle riforme (che saranno messi in luce nella seconda parte della commedia), Aristofane non dipinga il governo delle donne nei termini di una distopia; le condizioni in cui la città greca versava al momento della stesura e della rappresentazione dell’opera (Atene era ormai ben lontana dai fasti del secolo precedente e l’umiliazione subita nella guerra del Peloponneso aveva lasciato strascichi irreversibili) erano tali che le proposte di Prassagora e compagne non sono solo fonte di divertimento ma appaiono come il segnale stesso di una crisi profondissima che investe ormai il tessuto sociale e politico della polis stessa: finiti i gloriosi tempi delle utopie, improbabili ma nobili proiezioni di grandezza, resta solo lo spazio, suggerisce l’autore, per un’immaginazione in tono minore, in base alla quale anche le donne, una volta arrivate al potere, non possono fare altro che imporre leggi inapplicabili ed elargire pasti gratuiti. Il che non testimonia di un’apprezzabile differenza di genere rispetto alle modalità tipiche del potere maschile.
GIUDIZIO: ***½

Margaret Atwood – IL RACCONTO DELL’ANCELLA (1985)
Di cosa parla: In un futuro non meglio definito, nella Repubblica di Galaad (è il nome che hanno assunto gli Stati Uniti a seguito di un golpe che lo ha trasformato in un regime teocratico ispirato ai precetti dell’Antico Testamento), Difred è un’ancella: è questo il ruolo destinato alle donne in età fertile, ridotte alla condizione di schiavitù sessuale dei Comandanti, che se ne servono allo scopo di procreare figli. Difred (il suo vero nome è stato sostituito dal patronimico del suo Comandante) trascorre le sue giornate insieme alle altre ancelle privata di ogni libertà (anche l’abito che indossano, rosso e tale da nascondere il volto, è stabilito per legge) e costretta una volta al mese a partecipare alla Cerimonia di copulazione con il Comandante, finché quest’ultimo, contravvenendo a ogni regola, una sera la invita, all’insaputa di tutti, nella propria stanza…
Commento: Vero libro di culto dei movimenti impegnati nella difesa dei diritti delle donne e nella promozione dell’emancipazione femminile, adattato per il cinema già nel 1990 e diventato una serie tv in anni più recenti, oggetto di devozione da parte di lettori e lettrici in tutto il mondo (le recensioni entusiastiche online surclassano di gran lunga quelle critiche), è, tecnicamente parlando, un romanzo di fantascienza distopica. Del genere, per intenderci, di opere come Il mondo nuovo di Huxley, 1984 di Orwell, Fahrenheit 451 di Bradbury. Volendo evitare il confronto con capolavori di tale portata, ma volendo anche sottrarsi al ricatto del contenuto (le buone cause e la buona letteratura raramente vanno d’accordo), il romanzo resta irrisolto per almeno due aspetti. Innanzitutto, il contesto distopico, anziché essere ricostruito e spiegato con la dovuta chiarezza di dettagli, è lasciato agli sparsi accenni che Difred, la narratrice, dissemina lungo le pagine e che è oggetto di una trattazione appena più organica (ma non esaustiva per le curiosità del lettore) nella sezione finale, che si presenta sotto forma di una relazione accademica di epoca successiva agli avvenimenti raccontati in precedenza. Ma quel che più lascia perplessi è la mancanza di ritmo (e di sostanza) della storia, come se l’autrice avesse deciso di profondere il più delle sue energie nell’idea di fondo, buona di per sé, disinteressandosi poi non solo di rimpolparla con i dettagli del caso ma di costruire una trama sufficientemente accattivante e, magari, anche compiuta (la conclusione lasciata in sospeso è, a dir poco, irritante: l’esigenza di un sequel ha comunque colto Atwood a più di trent’anni di distanza!). I numerosi inserti riflessivi che punteggiano il racconto (affidati per lo più alle sezioni intitolate “Notte”), lungi dal favorire la partecipazione emotiva del lettore, hanno l’effetto di indisporlo per il loro lirismo spesso affettato e, a rigore di logica narrativa, incomprensibile, visto che finisce per gettare ambigue luci su quali siano i veri sentimenti della protagonista, unico personaggio peraltro dotato di un certo spessore, a confronto dell’insignificanza pressoché assoluta degli altri.
GIUDIZIO: *½

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI
Alla stessa epoca de Le donne al parlamento di Aristofane risale la riflessione più organica dell’antichità sulle differenze di genere in relazione al tema del governo di uno Stato. Lo Stato in questione è quello ideale tratteggiato da Platone nella Repubblica (opera sulla cui datazione sussistono secolari discussioni e che, comunque, fu scritta, a più riprese, in un lungo periodo di tempo, tra il 395 e il 368 a.C.); nel V libro il filosofo ateniese arriva a sostenere, per bocca di Socrate, che, nell’utopico Stato ideale, le donne e i figli dovranno essere in comune, il che implica che uomini e donne non dovranno avere funzioni diverse e non esclude che alcune donne possano svolgere il ruolo di guardiane:
“Quindi anche il sesso maschile e il femminile, se ci appaia differente rispetto a una data arte e occupazione, diremo che questa va a ciascuno dei due attribuita; ma se la differenza appare solo in questo, che la femmina partorisce e il maschio la feconda, non diremo punto dimostrato che, sotto il riguardo di cui noi parliamo, la donna differisca dall’uomo, ma continueremo a ritenere che i nostri Guardiani e le loro donne debbano avere le medesime occupazioni”.
E dunque se, come chiariscono sia Platone sia Aristofane e come lascia intendere anche la società distopica di Margaret Atwood, delle donne non si può fare a meno in quanto generatrici dei figli, si può credere che, almeno in questo ambito, le donne esercitino una qualche forma di potere? O non sarà piuttosto vero, di nuovo, che il segno maschile sul mondo finisce comunque per prevalere? E allora cosa resta alle donne? La risposta, non propriamente incoraggiante, la lasciamo a Patrizia Cavalli:
“Non ho seme da spargere per il mondo
non posso inondare i pisciatoi né
i materassi. Il mio avaro seme di donna
è troppo poco per offendere. Cosa posso
lasciare nelle strade nelle case
nei ventri infecondati? Le parole
quelle moltissime
ma già non mi assomigliano più
hanno dimenticato la furia
e la maledizione, sono diventate signorine
un po’ malfamate forse
ma sempre signorine”.
Testi citati
Platone – LA REPUBBLICA – traduzione di Francesco Gabrieli (IV secolo a.C.)
Patrizia Cavalli – NON HO SEME DA SPARGERE PER IL MONDO, in “Le mie poesie non cambieranno il mondo” (1974)