LA VITA COME UN ROMANZO RUSSO – Emmanuel Carrère

# 253 – Emmanuel Carrère – LA VITA COME UN ROMANZO RUSSO (Einaudi, 2014, ediz. orig. 2007, pagg. 276)

Sulle tracce di suo nonno materno, ucciso forse nel 1944 in quanto collaborazionista (“segreto” di famiglia che imbarazza tutti i Carrère, a quanto pare), Emmanuel Carrère si mette a fare ricerche per un documentario sul presunto ultimo prigioniero ancora in vita della Wehrmacht, un ungherese di nome András Toma, ormai molto anziano e ricoverato da anni in un ospedale psichiatrico, nello sperduto villaggio russo di Kotel’nič. Il governo ungherese ha organizzato il suo rientro in patria, a sessant’anni dalla fine della guerra, e Carrère è tra gli sceneggiatori che dovranno costruire un documentario su quest’uomo completamente rincitrullito e smemorato che forse era un soldato della Wehrmacht, arruolato con la forza, e che ha partecipato alla spedizione russa di Hitler senza più tornare a casa. Peccato che questo interessante spunto resti congelato nel nulla delle steppe russe, perché poi il libro parla di tutto tranne che dei temi che un personaggio a suo modo unico come András Toma può evocare, dalla memoria al perdono, dalla vacuità delle imprese militari al dolore seminato dal Nazionalismo sfrenato. Al contrario, il libro diventa una pedante (e futile) ricerca di riscatto per un nonno (forse) collaborazionista e, soprattutto, un viaggio nella gelosia patologica che ha rovinato il matrimonio dell’Autore. Con buona pace del povero András Toma.

Difficile non amare la scrittura di Emmanuel Carrère e, sia detto a mio piccolo merito, ho già recensito diversi libri di questo brillante anche se autoreferenziale Autore francese, che secondo alcuni avrebbe addirittura inventato un nuovo genere letterario, quello del “romanzo-inchiesta” con l’Autore allo stesso tempo artefice e protagonista dell’opera (è il caso dei riuscitissimi “Limonov”, “Il Regno” e “L’Avversario”, solo per citare tre titoli che trovate recensiti su questo sito).

Insomma, che Carrère sappia scrivere non c’è dubbio, e che abbia partorito, nella sua travagliata vita da scrittore gauchiste parigino, una serie di buoni libri è altrettanto indubbio. Ciò non toglie, però, che possa incappare in un fiasco, e ahimé ci siamo: “La vita come un romanzo russo” è decisamente, e di gran lunga, il peggior Carrère che abbia mai letto (e li ho letti quasi tutti). Perché? Cominciamo col dire che scrivo questa recensione molto “a freddo”, perché sono passati già alcuni anni dalla lettura del libro; se l’avessi scritta “a caldo”, probabilmente avrei trasceso, perché il libro somiglia a una calcolata e studiata presa per i fondelli del lettore. Non solo l’impianto di trama, che già nei libri del nostro è piuttosto esiguo, in questo si dilegua senza lasciare tracce; ma in più, la parte più interessante e che avrebbe oggettivamente meritato un libro è proprio quella usata come specchietto per le allodole, per tirare dentro i lettori e consegnali poi a un Inferno di gelosia che non ci si aspetta e che c’entra con tutto il resto come i cavoli a merenda.

Come si fa a passare (e lo dico da lettore) dalla ricerca, in sé affascinante, di un anziano prigioniero che forse è stato un soldato di Hitler e che adesso tornerà a casa, dopo più di sessant’anni, a chiudere in qualche modo un cerchio umano doloroso e una pagina di storia tra le peggiori dell’Umanità, come si fa a passare, dicevo, da un tema simile alle infantili elucubrazioni dell’Autore sul suo rapporto con Sophie e sulla gelosia che lo divora? Come si fa a reggere l’ultima parte del libro, tutta incentrata su un gigantesco equivoco di coppia che finisce per scavare un solco tra i due coniugi? Equivoco, ancora una volta, ridicolo e infantile, che avrà avuto importanza per Carrère, certo, ma ecco il punto, ecco il tallone d’Achille della letteratura che questo abile scrittore ci offre da anni: non tutto quello che è importante per lo scrittore deve esserlo per forza anche per il suo pubblico. E invece Carrère sembra dare per scontato che, pur non essendo lui il novello Marcel Proust, le sue lambiccate idiozie sulla gelosia e sulle difficoltà del rapporto uomo-donna, e in particolare le difficoltà del suo rapporto sentimentale con tale Sophie, debbano per forza interessare pletore di lettori.

Purtroppo per lui, la Bibbia della gelosia l’ha già scritta Proust raccontandoci da par suo il rapporto tra Swann e Odette, che fa da “figura” (sì, mi servo di Auerbach, nientemeno!) a quello, successivo, del Narratore stesso con Albertine. Con Proust non si scherza, Emmanuel! Chiunque ne uscirebbe con le ossa rotte, e tu non fai eccezione: “La vita come un romanzo russo” è un libro pretenzioso e stancante, autoreferenziale fino alla nausea e attraversato da false provocazioni e da ossessioni da “Gauche caviar” che, francamente, finiscono per far stizzire anche il più paziente dei lettori. Io, perlomeno, durante la lettura mi sono incazzato più d’una volta e, credetemi, sono stato sul punto di abbandonarlo, questo libro presuntuoso come il suo Autore, che crede di poter scrivere di ogni cosa, tanto il suo stile e la sua bravura, nonché l’interesse per la sua figura, finiranno per ingraziargli il pubblico come è sempre stato, per tutte le sue opere precedenti.

E invece stavolta non va così, caro Carrère, perlomeno non con me: questo piagnisteo fasullo e laccato con me non attacca, e il castigo, in termini di voto, è proporzionato alla stima che nutro per te come scrittore. Con una mezza calzetta sarei stato forse più clemente. Ma con uno capace di libri come “Limonov” e “Il Regno”, no, perché la delusione è stata troppo grande e la presa in giro del lettore è, secondo me, calcolata e voluta e questa, comunque la si voglia mettere, è un’aggravante.           

(Recensione scritta ascoltando Georg Friedrich Händel, “Passacaglia in Sol minore”)

PREGI:
chiunque dicesse che Carrère scrive male mentirebbe. Anche in questo caso, non è la qualità della scrittura in sé a fare difetto, e se un lettore o una lettrice fossero particolarmente interessati agli sviluppi sentimentali della vita di Carrère, troverebbero indubbia soddisfazione dalla lettura

DIFETTI:
completamente privo di un centro e di un impianto narrativo sensato, è un libro ondivago e supponente, convinto di potersela cavare solo spendendosi il nome dell’Autore in copertina. Futile e irritante per come mescola, con disinvoltura, temi come una prigionia di vari decenni e una stupida crisi coniugale, è uno di quei libri che fanno pensare a quanto sarebbe stato meglio che l’Autore andasse dallo psicanalista anziché mettersi alla scrivania…

CITAZIONE:
“I giorni successivi sono atroci. Anch’io ho l’impressione di fare un’enorme cretinata. Immagino il ritorno a Parigi, l’appartamento privo della tua presenza, i mesi di astinenza a chiedermi dove sei, cosa provi, cosa dici ad Arnaud quando fa l’amore con te. Vorrei chiamarti, dirti che non è possibile, ti amo, torna, ma so che basterebbe che tu tornassi per veder ricominciare nella mia mente la giostra infernale: ti respingerei tu ti allontaneresti di nuovo, ti supplicherei di nuovo, bisogna finirla.” (pag. 234)

GIUDIZIO SINTETICO: °

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
***
***1/2
****
ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO