Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati
A cura di Roberto Mandile
PUNTATA 115
FEDE E RAGIONE
Paradossi, misteri, dubbi metafisici… e molto terrene spiegazioni
Gilbert Keith Chesterton – IL GIARDINO DI FUMO E ALTRI RACCONTI DEL MISTERO (1922)
Di cosa parla: Sono davvero fondate le superstizioni che circondano i tre alberi pavone, o alberi dell’orgoglio, della tenuta di Mr. Vane? Per confutarle, lo stesso proprietario decide di trascorrere una notte in mezzo ad essi: al mattino, però, è scomparso. O, ancora, quale mistero si nasconde dietro la morte della signora Mowbray, la poetessa che, ritrovata cadavere nel suo giardino, aveva l’abitudine di fumare una droga assai costosa? E cosa si cela dietro il duello avvenuto nella campagna parigina, nel quale un giovane inglese è stato ucciso? E, infine, qual è la verità sul furto di diamanti accaduto in un’abbazia della Transilvania, vera e propria fortezza a cui pare impossibile accedere?
Commento: I quattro racconti fanno parte de L’uomo che sapeva troppo, dove compaiono insieme ad altri otto: si distinguono, però, da questi ultimi per la mancanza di Horne Fisher, il personaggio che dà il titolo alla raccolta stessa. Sono, a tutti gli effetti, una buona dimostrazione di come Chesterton intendeva il genere giallo, che praticò in modo sistematico nei racconti di Padre Brown e a cui dedicò anche riflessioni sotto forma di saggi e articoli, oggi riuniti nel volume Come scrivere un giallo. Uno dei principi chiave enunciati dall’autore inglese recita, grosso modo, così: “Lo scopo di un racconto di mistero, così come ogni racconto e di ogni mistero, non è l’oscurità, bensì la luce”. Ora, Chesterton non è propriamente uno scrittore facilissimo, specie per chi si avvicini ai suoi racconti gialli con la facilità cui molta letteratura poliziesca ci ha abituato: il suo stile, raffinato e talora persino un po’ involuto, lascia intendere, nei casi più felici, come l’indagine poliziesca sia assimilabile alla ricerca della verità del filosofo o del teologo. Proprio nel 1922, anno della pubblicazione di questi racconti, Chesterton fu accolto nella Chiesa cattolica: non stupisce, quindi, come le sue storie si prestino spesso (è il caso soprattutto del primo e dell’ultimo testo) a diversi livelli di lettura. Non mancano dunque critiche al razionalismo positivista che aveva fatto la fortuna del poliziesco inglese alla Sherlock Holmes, ma nemmeno una ferma opposizione all’astrusità di certa letteratura del genere che rifugge dalla semplicità di ciò che si può vedere con gli occhi della ragione per rifugiarsi in interpretazioni tanto complicate da risultare più oscure dell’enigma stesso da sciogliere. Idee che, secondo il cattolico Chesterton, fanno da guida anche in ogni avvicinamento al mistero che è alla base della religione cristiana e la cui verità è un atto di fede che non può, anzi non deve escludere la ragione.
GIUDIZIO: **½

Colin Dexter – NIENTE VACANZE PER L’ISPETTORE MORSE (1979)
Di cosa parla: Intorno alla canonica di St. Frideswide, a Oxford, si muove una folla di personaggi che, dietro una facciata rispettabile, nasconde piccoli o grandi segreti. Le cose precipitano quando il sacrestano Harry Jospephs viene assassinato durante la celebrazione di una funzione religiosa; di lì a poco, il corpo del reverendo Lawson viene trovato cadavere ai piedi della torre del campanile. Suicidio, a quanto pare. Ma la catena di crimini e fatti inspiegabili non si ferma e così l’ispettore Morse, che si trova a passare da quelle parti nel suo primo giorno di ferie, non può fare a meno di incuriosirsi e rinunciare prontamente alle sue vacanze per tuffarsi in un’indagine particolarmente intricata…
Commento: I gialli di ambientazione religiosa non mancano. Il più bello è senz’altro A che punto è la notte di Fruttero & Lucentini. Che, come questo romanzo di Colin Dexter, inizia con un omicidio in chiesa nel bel mezzo di una funzione e che, curiosamente, uscì nello stesso anno, 1979. Quanto a Dexter, probabilmente il più insigne erede della tradizione del giallo classico inglese, che sappia scrivere, evitando gli effettacci e le forzature tipiche di tanta letteratura poliziesca recente, è indubbio. Il suo punto di forza sta soprattutto nella capacità di dipingere un bel quadro della vita di provincia, popolata di personaggi tanto più interessanti in quanto lontani dai cliché e tutti, chi più chi meno, piuttosto scostanti, anche se, in alcuni casi, non sprovvisti di una certa umanità. Forse, più che la tradizione anglosassone, Dexter richiama Simenon, almeno nell’interesse per le psicologie umane, anche se, di fronte all’asciuttezza delle storie di Maigret, il romanzo si trascina un po’ in lungo, complicando fin troppo la storia e rimandando il suo scioglimento.
GIUDIZIO: **½

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI
Come indagare i (profani) misteri che, talora, la religione nasconde. Materia buona per la penna di Leonardo Sciascia: è questo, in fondo, il tema di uno dei suoi libri più giustamente celebri, Todo modo, con l’eremo che, dietro la facciata dell’hotel per ritiri spirituali, occulta altri più terreni segreti. Un caso per certi versi analogo è al centro di un altro libello dello scrittore siciliano, Dalle parti degli infedeli, che ricostruisce le vicende del comune di Patti, nel messinese, dove le sconfitte elettorali subite dalla Democrazia Cristiana all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale suscitano malumori presso alcuni esponenti della Chiesa. In particolare il cardinal Piazza, a capo della Sacra Congregazione Concistoriale, ne addebita la responsabilità a monsignor Ficarra, vescovo di Patti, e fa di tutto per rimuoverlo. Ma per costringere il prelato a rinunciare alla diocesi le pressioni che vengono esercitate in vario modo sembrano non bastare, al punto che si dovrà prima affiancargli un vescovo ausiliare per poi nominare quest’ultimo unico amministratore apostolico e affidare a monsignor Ficarra l’onorifica arcidiocesi di Leontopoli di Augustamnica, come si fa con i vescovi che si trovano in partibus infidelium.
Nel ricostruire la vicenda di monsignor Ficarra, si può dire, riprendendo le stesse osservazioni che Sciascia pone a conclusione del suo breve saggio, che “nella sua particolarità e rozzezza” la storia “può assurgere alla generalità della storia italiana tra il 1945 e il 1955”. In questo senso il libro si inserisce nel solco dei tanti contributi che l’autore ha fornito all’interpretazione di eventi emblematici della storia, più o meno recente, del nostro Paese, da Morte dell’inquisitore a I pugnalatori, da La scomparsa di Majorana a L’affaire Moro.
Sul piano strettamente letterario, Sciascia denuncia, in maniera più evidente che altrove (e qui persino esplicita), il suo debito nei confronti di Manzoni: il caso di monsignor Ficarra, al pari dei fatti, maggiori e minori, narrati ne I promessi sposi (ma la memoria corre anche alla Storia della colonna infame), è un episodio di ingiustizia che si esplica non attraverso la violenza ma con il ricorso alla doppiezza dei modi e all’ipocrisia del linguaggio, di cui testimoniano le lettere del cardinal Piazza e altre comunicazioni, ufficiali e non, anonime e non, che vengono fatte pervenire al vescovo di Patti. È insomma nell’ispirazione illuministica, che si esprime nella minuziosa e ironica analisi lessicale cui Sciascia sottopone i documenti (segretissimi, tanto che chi li divulghi rischia la scomunica!), il punto di interesse del saggio, che, però, manca del respiro degli altri scritti di tipologia analoga come quelli citati sopra, nonché del passo disteso e accattivante dei romanzi più celebri dell’autore.
Se gli uomini di fede non sono sempre irreprensibili, il linguaggio della riflessione religiosa, al contrario, è talora irrinunciabile anche per chi, laicamente, non può fare a meno di interrogarsi sui misteri dell’esistenza, come se la ragione fosse soltanto un codice d’accesso e non la risposta finale. Come se il fatto stesso di guardare altrove fosse di per sé espressione di un irresistibile afflato religioso e il dubbio fosse l’alimento di ogni fede. È il caso de Il tranviere metafisico, bellissima poesia di Luciano Erba, grande poeta milanese capace di coniugare nei suoi testi una apparente disinvolta colloquialità di tono con squarci di profondità trascendente:
“Ritorna a volte il sogno in cui mi avviene
di manovrare un tram senza rotaie
tra campi di patate e fichi verdi
nel coltivato le ruote non sprofondano
schivo spaventapasseri e capanni
vado incontro a settembre, verso ottobre
i passeggeri sono i miei defunti.
Al risveglio rispunta il dubbio antico
se questa vita non sia evento del caso
e il nostro solo un povero monologo
di domande e risposte fatte in casa.
Credo, non credo, quando credo vorrei
portarmi all’al di là un po’ di qua
anche la cicatrice che mi segna
una gamba e mi fa compagnia.
Già, ma allora? sembra dica in excelsis
un’altra voce.
Altra?”

Testi citati
Leonardo Sciascia – DALLE PARTI DEGLI INFEDELI (1979)
Luciano Erba – IL TRANVIERE METAFISICO, in “L’ippopotamo” (1989)