# 258 – Hans Tuzzi – IL TRIO DELL’ARCIDUCA (Bollati Boringhieri, 2014, pagg. 156)
Estate 1914: indagando sull’assassinio, avvenuto a Trieste, dunque entro i confini dell’Austria-Ungheria, di un suo informatore turco, Neron Vukcic, ventunenne montenegrino al soldo dei Servizi Segreti asburgici, sagace e amante del buon cibo e della birra, nonché delle orchidee, si ritrova invischiato in una complicata trama spionistica che vede, tra i protagonisti, una nota attrice d’origine polacca – che forse fa un triplo gioco passando informazioni a destra e a sinistra sull’asse Mosca-Belgrado-Vienna – e un maggiore dell’esercito serbo affiliato della Mano Nera, la temibile organizzazione clandestina di stampo panslavista che aveva come obiettivo la distruzione della Duplice Monarchia. Partito da Trieste, Vukcic intraprende un pericoloso viaggio che lo porta dapprima a Sarajevo, quindi a Belgrado, Costantinopoli e Càttaro, ma nonostante la sua abilità nello sfuggire agli agguati e nello scoprire preziose tracce per la ricostruzione dell’intricata faccenda, qualcuno a Vienna finirà per insabbiare tutto e lasciare che, il 28 giugno, a Sarajevo, accada l’irreparabile. E per Vukcic, deluso, non resta forse che la via delle dimissioni e dell’emigrazione negli Stati Uniti, dove assumerà il più familiare nome di… Nero Wolfe!
Sorta di prequel dei romanzi di Rex Stout, con protagonista il celebre, pachidermico e ghiotto detective privato di origine montenegrina, “Il trio dell’Arciduca” è il primo dei tre romanzi che Hans Tuzzi – pseudonimo musiliano dello scrittore milanese Adriano Bon – ha dedicato al personaggio da giovane, quando ancora si chiamava Neron Vukcic (“Vuk” significa “lupo”, e diventerà il più anglosassone “Wolfe”).
Autore impregnato di Mitteleuropa e di atmosfere asburgiche, nonché profondo conoscitore della letteratura e della temperie storica di quel periodo, Tuzzi scrive con indubbia competenza mescolando invenzione e fatti storici, personaggi inventati (a partire dal protagonista) e personaggi realmente esistiti (il maggiore Voja Tankošić, giusto per citarne uno, che però, curiosamente, nel romanzo viene chiamato “Tankovic”), arrivando così a comporre non già quello che si potrebbe definire “un affresco”, perché il libro è decisamente troppo esile per ambire a tanto, quanto piuttosto un onesto giallo spionistico di ambientazione storica, gustosissimo quando si dedica a ricostruire modi e sistemi di uno spionaggio tramontato, quello della Belle Époque, quando ancora ci si serviva dei piccioni viaggiatori per far arrivare a destinazione messaggi segreti, e quando il segno di riconoscimento tra spie che non si erano mai viste poteva essere un motivetto insistentemente zufolato, o un fazzoletto da taschino portato con due punte ben in vista.
Anche il gioco meta-letterario di fondo è garbato e ben riuscito: Neron Vukcic è veramente Nero Wolfe prima di emigrare negli States? Il finale del romanzo lo dà per certo, anche se nei successivi due libri che lo vedranno protagonista (“Il sesto Faraone” e “Al vento dell’Oceano”) i dettagli biografici del personaggio verranno un po’ modificati e finiranno per non corrispondere del tutto con quelli del monumentale detective ideato da Rex Stout.
Tuzzi sa giocare col lettore, a patto che abbia le necessarie competenze tanto di ambito letterario quanto di carattere storico, e offre un libro saporito e gradevole, un’avventura d’altri tempi dal finale scontato (l’attentato di Sarajevo lo dovrebbero ricordare tutti!), un romanzo che non ha la pretesa di ammaliare e di sbalordire, ma che sa catturare il lettore coi piccoli tocchi di una scrittura sapiente e un po’ sostenuta, cesellata e a tratti preteziosetta, un po’ come l’Austria-Ungheria del fatale 1914, convinta di poter vincere la guerra danzando sulle note dei valzer di Strauss e della Marcia di Radetzky, convinta (perlomeno in alcuni ambienti altolocati) che la strada da seguire fosse proprio una bella guerra, un “repulisti” di slavi e italiani, e che invece non sopravvisse a quella disastrosa avventura, creando le premesse per la debolezza centroeuropea che vent’anni dopo Hitler avrebbe sfruttato per la sua marcia verso Est, a caccia di “spazio vitale” per il popolo tedesco.
A tratti francamente prevedibile, e forse un po’ troppo infarcito di dettagli storici (come se l’Autore volesse far capire a tutti i costi che lui le cose le sa, e che può permettersi di maneggiare i personaggi e la Storia a suo piacimento), “Il trio dell’Arciduca” è comunque una lettura piacevole, non priva di belle scene e di riusciti tocchi lirici, un piccolo romanzo squisitamente balcanico e mitteleuropeo, con un protagonista interessante (a prescindere che sia plausibile la sua identificazione con Nero Wolfe) e una trama che non può fare a meno di giocare un po’ a rimpiattino col lettore, che sa (o dovrebbe sapere) benissimo cosa accadde a Sarajevo il 28 giugno del 1914, e che – sapendolo – non può certo essere menato troppo per il naso circa il “gran segreto” detenuto dall’informatore turco ucciso a Trieste. Ebbene, senza darsi troppe arie, Hans Tuzzi – da vero funzionario asburgico! – compila un libretto preciso e consapevole, che si legge con piacere anche se certo non verrà mai annoverato tra le pietre miliari della letteratura – nemmeno quella di genere.
(Recensione scritta ascoltando Ludwig van Beethoven, “Trio in si bemolle maggiore, Op. 97, Arciduca”)
PREGI:
asciutto e godibile, dominato dalla figura (riuscita) di Neron Vukcic e da alcuni buoni comprimari (su tutti l’attrice doppiogiochista Saskia Christalling, al secolo Olga Polaniecka), è un divertissement più intelligente della media, soprattutto per chi conosce bene la storia e i personaggi del periodo
DIFETTI:
una scrittura a tratti un po’ pretenziosa e alcune inspiegabili inesattezze: la peggiore di tutte quando l’Ausgleich tra Austria e Ungheria che sancisce la nascita della Duplice Monarchia, nel 1867, viene preso per l’atto di morte del Sacro Romano Impero, che in verità – Tuzzi non può certo ignorarlo! – era tramontato già nel 1806, quando il Romano Imperatore Francesco II aveva accettato di diventare… Francesco I d’Austria! Per questa, ahimè, e per altre più piccole imprecisioni, mezza stella in meno!
CITAZIONE:
«Sì, l’Austria sarà pur bolsa» si disse, «ma resta pur sempre un paese dove il diritto non è una parola.» (pag. 58)
GIUDIZIO SINTETICO: **
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…