Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati
A cura di Roberto Mandile
PUNTATA 123
TRA FRATELLI E SORELLE
Contrasti, liti, rivalità, piccole gelosie ed elogi
Georges Simenon – I SUPERSTITI DEL TÉLÉMAQUE (1937)
Di cosa parla: Fécamp, in Normandia, è uno dei tanti villaggi sul Canale della Manica. Per la gente del luogo, che vive della pesca alle aringhe, l’arresto di Pierre Canut, l’amatissimo capitano del peschereccio Centaure, è un vero shock. L’accusa che gli viene rivolta è pesante: omicidio. Il morto è il vecchio Février, unico superstite del naufragio del Télémaque, nel quale, trent’anni prima, aveva perso la vita il padre di Pierre in oscure circostanze (aleggia ancora il sospetto di antropofagia). A scagionare Pierre ci prova il fratello Charles, che vede l’occasione di riscattarsi dall’anonimato in cui finora è vissuto…
Commento: Scritto durante un inverno passato in Tirolo (Simenon confessa, nella premessa al romanzo, che l’ispirazione in lui ha sempre funzionato per contrasto climatico e paesaggistico; difficile verificare, vista la mole di libri scritti), il romanzo vive delle atmosfere dell’ambientazione, splendidamente resa, e del contrasto tra i due fratelli, Pierre che, “tutto forza, muscoli, salute”, è benvoluto da tutti, e Charles, “il cervello della famiglia”, che è sempre stato nell’ombra. Il tema della contrapposizione tra fratelli attraversa tutta la letteratura, dall’Amleto al Signore di Ballantrae di Stevenson, per non scomodare Dostoevskij (non foss’altro perché i fratelli Karamazov erano quattro: lo diciamo a beneficio dei tanti internauti che fanno ricerche riguardo al capolavoro dello scrittore russo; “Quanti sono i fratelli Karamazov?” è al primo posto delle domande secondo Google). Il pessimismo di Simenon, meno cupo che altrove, è però più radicale nel riaffermare con nettezza l’impossibilità di cambiare la propria natura.
GIUDIZIO: ***

Ellery Queen – LA PROVA DEL NOVE (1971)
Di cosa parla: Il ricchissimo finanziere italo-americano Nino Importuna sembra ossessionato dal numero 9: è nato il 9 settembre 1899, ha solo 9 dita, vive in un grande edificio a 9 piani, e tratta i suoi affari solo il giorno 9 del mese. Quando suo fratello Julio viene assassinato, gli indizi puntano sul terzo fratello, Marco, che poco dopo si suicida. Per la polizia il caso è chiuso, ma come spiegare l’omicidio, alcuni mesi dopo, dello stesso Nino, colpito 9 volte, con un’arma a forma di 9, e l’orologio fermo sulle 9 e 9?
Commento: È l’ultimo romanzo dei cugini Dannay-Lee (quest’ultimo morì nell’anno della pubblicazione e la sua scomparsa segnò la fine di ogni opera a firma Ellery Queen, compresi gli apocrifi voluti dallo stesso Lee). È anche uno dei polizieschi a più alto tasso di fratelli della storia; che i rapporti tra fratelli non siano sempre idilliaci lo insegna la tragedia (da Eteocle e Polinice in poi; di Amleto abbiamo già detto), di cui il giallo è una sorta di aggiornamento in chiave borghese. Il romanzo concorre anche al premio “trame inverosimili”, in cui Ellery Queen può avanzare diverse candidature (da Il delitto alla rovescia a Colpo di grazia, la scelta è ampia). In realtà, se l’indagine è apparentemente cervellotica, il mistero della ricorrenza del 9, che torna anche nelle lettere anonime spedite all’ispettore Queen, risulta, alla fine, meno inammissibile del previsto. Il numero ristretto di personaggi agevola la scoperta del colpevole, ma l’impressione è che ci sia un po’ troppo fumo negli occhi per una storia in fondo non così complessa.
GIUDIZIO: **½

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI
Vana sarebbe la pretesa di compilare un’antologia, anche minima, di poesie dedicate a fratelli e sorelle; volendo proprio stilare una classifica, il primo posto va sicuramente al sonetto In morte del fratello Giovanni, lettura scolastica pressoché obbligatoria, con o senza confronto con il modello che Foscolo tenne presente, il carme 101 di Catullo (ma è bene ricordare almeno il componimento Se tu mio fratello, che Ungaretti scrisse in occasione della dolorosa e precoce scomparsa del fratello Costantino). Passando alle sorelle e prescindendo dal canto leopardiano scritto per le nozze della sorella Paolina nonché dalle numerose poesie che Pascoli dedicò alle sue due sorelle Ida e Mariù (con quest’ultima, in particolare, che gli visse sempre accanto, si instaurò una relazione affettuosa anomala se non morbosa), restringiamo l’orizzonte al Novecento con due testi tanto belli quanto distanti, cronologicamente e non solo, tra loro.
Il primo è la più celebre poesia di Marino Moretti, che tutte le letterature indicano come una sorta di manifesto del “crepuscolarismo”; il poeta racconta una visita alla sorella, come spiega con prosastica semplicità il noto incipit:
“Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
ospite della mia sorella sposa,
sposa da sei, da sette mesi appena”.
Il tono della poesia è dimesso e il registro quasi colloquiale: Moretti parla della nuova famiglia della sorella, dei suoceri, d’una “cognata quasi avara che viene spesso per casa col figlio”, del “nonno ricco del tuo caro Dino”. La sorella sorride, mentre lui è triste; la ragione del suo stato d’animo emerge nei versi finali, dove risuona un’eco pascoliana (anche Moretti era romagnolo, peraltro) in un accenno di gelosia:
“Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
sono a Cesena e mia sorella è qui
tutta d’un uomo ch’io conosco appena.
tra nuova gente, nuove cure, nuove
tristezze, e a me parla… così,
senza dolcezza, mentre piove o spiove:
«La mamma nostra t’avrà detto che…
E poi si vede, ora si vede, e come!
sì, sono incinta… Troppo presto, ahimè!
Sai che non voglio balia? che ho speranza
d’allattarlo da me? Cerchiamo un nome…
Ho fortuna, è una buona gravidanza…»
Ancora parli, ancora parli, e guardi
le cose intorno. Piove. S’avvicina
l’ombra grigiastra. Suona l’ora. È tardi.
E l’anno scorso eri così bambina!”
Con altrettanta semplicità (ma ben altro tono!) parla di sua sorella anche la poetessa polacca Wisława Szymborska, premio Nobel nel 1996; il testo si intitola, con ammirevole immediatezza, In lode di mia sorella e non ha bisogno di chiose o aggiunte, a testimonianza che anche nel Novecento la poesia ha saputo talora conservare chiarezza e leggibilità, anche perché, come ironizza la stessa autrice, scrivere poesie non è poi così necessario:
“Mia sorella non scrive poesie,
né penso che si metterà a scrivere poesie.
Ha preso dalla madre, che non scriveva poesie,
e dal padre, che anche lui non scriveva poesie.
Sotto il tetto di mia sorella mi sento sicura:
suo marito mai e poi mai scriverebbe poesie.
E anche se tutto ciò suona ripetitivo come una litania,
nessuno dei miei parenti scrive poesie.
Nei suoi cassetti non ci sono vecchie poesie,
né ce n’è di recenti nella sua borsetta.
E quando mia sorella mi invita a pranzo,
so che non ha intenzione di leggermi poesie.
Fa minestre squisite senza secondi fini,
e il suo caffè non si rovescia su manoscritti.
In molte famiglie nessuno scrive poesie,
ma se accade – è raro che sia uno solo.
A volte la poesia scende a cascate per generazioni,
creando gorghi pericolosi nel mutuo sentire.
Mia sorella pratica una discreta prosa orale,
e tutta la sua opera scritta consiste in cartoline
il cui testo promette la stessa cosa ogni anno:
che al ritorno delle vacanze
tutto quanto
tutto
racconterà.”

Testi citati
Marino Moretti – A CESENA, in “Il giardino dei frutti” (1916)
Wisława Szymborska – IN LODE DI MIA SORELLA, in “Grande numero” – traduzione di Pietro Marchesani (1976)