MANOSCRITTO TROVATO A SARAGOZZA – Jan Potocki

# 266 – Jan Potocki – MANOSCRITTO TROVATO A SARAGOZZA (TEA, 1995, ediz. orig. 1805-1847, pagg. 751)

Ritrovato da un ufficiale francese a Saragozza nel 1809, dopo la presa della città, in una cassetta metallica nella quale giaceva dal 1765, un corposo manoscritto torna alla luce e viene tradotto in francese proprio dal suo scopritore, che ci permette così di leggerlo. Raccontata dal protagonista Alfonso van Worden, giovane capitano delle guardie vallone in viaggio attraverso la Spagna per raggiungere Madrid, la complessa vicenda si dipana in sessantasei giornate, sul modello di libri come “Le Mille e una Notte” o il “Decamerone”. La storia di Alfonso van Worden, però, è soltanto la cornice di un romanzo a scatole cinesi, che contiene le decine e decine di vicende che volta a volta il giovane van Worden si trova a vivere in prima persona o a sentirsi raccontare dai vari personaggi che incontra (casualmente) lungo il cammino, per approdare poi a una scoperta sconvolgente: forse nulla di ciò che gli è capitato durante il viaggio è stato veramente casuale! Forse c’è un piano al centro del quale sta proprio la figura di Alfonso van Worden, attorno al quale altri personaggi – e in particolare lo sceicco dei Gomelez – tessono le loro trame, in un intrigo che si tinge di erotismo, morte, comicità, avventura, amore, filosofia, orrore. Tutti i generi letterari sono rappresentati nelle mirabolanti avventure che occorrono ad Alfonso van Worden, fino a uno scioglimento che tira a sé tutti i fili lasciati pendere per centinaia di pagine e regala uno dei romanzi più mastodontici, originali e misteriosi di tutta la storia della letteratura.

Da qualche parte bisogna pur cominciare, per parlare di un libro assoluto e misterioso come il “Manoscritto trovato a Saragozza”, e allora, anziché da uno dei tantissimi personaggi – dall’indemoniato Pacheco all’Ebreo Errante, dal bandito Zoto all’attraente Rebecca, dallo zingaro Avadoro alle inquietanti e procaci cugine del protagonista – o dal protagonista stesso, Alfonso van Worden, preferiamo partire da un personaggio realmente unico ed enigmatico: l’Autore, il conte polacco Jan Potocki (1761 – 1814).

La sua vita fu piuttosto avventurosa. Ingegnere di formazione, fu capitano nell’esercito polacco, novizio tra i Cavalieri di Malta ed entrò, con ogni probabilità, nella Massoneria. Si dedico a studi di linguistica (in particolare sulle lingue e la cultura slave), fondò una casa editrice a Varsavia e una sala di lettura gratuita, difese l’originalità della cultura ucraina rispetto a quella russa (leggermente in anticipo sui tempi, direi!), e ancora, fu diplomatico, viaggiatore (persino in mongolfiera!), sostenitore di riforme che mitigassero l’assolutismo monarchico. E infine, ovviamente, fu scrittore: “Manoscritto trovato a Saragozza” è il suo unico romanzo, ma scrisse anche articoli, saggi scientifici e storici, opere teatrali… Combatté, a quanto parte, per tutta la vita contro la depressione e, forse, contro una forma di psicosi che si manifestava nell’ossessivo timore di diventare un lupo mannaro. Per questo, forse, Potocki passò più di vent’anni a limare e arrotondare una fragola d’argento che sormontava una teiera. Quando finalmente la sfera così ottenuta entrò nella canna di una pistola, Jan si sparò, ponendo così fine – il 23 dicembre 1815 – a una vita laboriosa anche se disordinata, perennemente inquieta e attraversata da un’insoddisfazione senza nome, che certo la letteratura non sarebbe mai riuscita a placare.

Il “Manoscritto trovato a Saragozza” riflette però, almeno in parte, la poliedricità, la vivace curiosità e la brillante cultura del suo Autore: romanzo unitario (la vicenda narrata, fondamentalmente, è una sola, quella di Alfonso van Worden e delle sue mirabolanti avventure) che si frammenta però in un caleidoscopio di racconti intrecciati, sovrapposti e contenuti uno nell’altro, il “Manoscritto” è un oggetto misterioso quant’altri mai, e lascia sbalorditi tanto alla prima lettura (io la feci ai tempi dell’Università) quanto alle successive, anche alle riletture parziali, quando si prende in mano il libro giusto per rileggere qualche pagina o una delle tante storie che esso contiene – per esempio quella dell’indemoniato Pacheco, una delle mie preferite, o quella del bandito Zoto.

Al di là dello stile, indubbiamente cristallino e moderno, è soprattutto il magico gioco di incastri e di rimandi a lasciare a bocca aperta, la capacità quasi diabolica dell’Autore di far proliferare le sue storie, geminandole in continui spin-off (per usare un termine contemporaneo), riprendendole e approfondendole, venandole di significati sempre nuovi e di riflessi che vanno dal comico all’inquietante, dal tragico all’orrorifico (memorabile il risveglio del protagonista in mezzo a due cadaveri in putrefazione, dopo che si era coricato con le due splendide fanciulle che, dichiaratesi sue cugine, l’avevano sedotto).

Fitto di rimandi e collegamenti, innervato da una certosina struttura di echi e di richiami (in fondo, tutto ciò che accade a van Worden si rivela assai meno casuale di quanto egli pensasse!), “Manoscritto trovato a Saragozza” è sia uno straordinario romanzo di formazione (il più sui generis che io conosca!) che un eccezionale libro picaresco, in cui le avventure che si susseguono non hanno alcun bisogno di giustificarsi, perché il lettore, perso nei meandri di una trama che appare e scompare per poi riapparire improvvisamente, si lascia trascinare dal flusso e smette di porsi domande, legge come in trance, mesmerizzato da una scrittura che si avvolge nel suo stesso enigma, nella sua spirale di accadimenti curiosi e onirici, e il cui messaggio di fondo è che forse, dopotutto, il mondo è un luogo più strano di quanto si possa pensare, e la vita un’avventura più eccezionale di quanto non sembri a prima vista.

Ma attenzione: non bisogna perdere di vista il carattere fondamentalmente ludico della scrittura di Potocki, veicolo certo di profonde e personali tensioni, ma anche gioco letterario, scherzo erudito e “catalogo” di modi di scrivere e di narrare, tentativo caleidoscopico di afferrare una realtà sempre più complessa e sfuggente. Lo coglie perfettamente René Radrizzani, quando scrive che “Potocki, prendendo in prestito delle maschere, è, come per gioco, di volta in volta il gentile libertino Toledo, l’avventuriero Avadoro, l’onnisciente Hervas, il filosofo Velasquez, è ora epicureo, ora razionalista, ora generoso, ora egoista.” E la conclusione di questo caleidoscopio di personaggi e vicende non può che essere una: “Dal momento che la verità non è data a un solo uomo, è l’insieme dell’opera, è questa grande fuga, è il concerto multiforme dei destini a offrirne un’immagine frammentaria.”

Suchodolski_Assault_on_Saragossa
January Suchodolski, Assalto alle mura di Saragozza (Olio su tela, 1845)

Iniziato nel 1797 e fondamentalmente mai completato – per quanto l’arco narrativo sia a suo modo compiuto, con tanto di epilogo – il “Manoscritto trovato a Saragozza” è stato, assieme alla palla d’argento pazientemente limata per venti e passa anni, il compagno di vita dell’inquieto e intelligente Potocki, un romanzo unico, cesellato e continuamente arricchito di sottotrame e personaggi, di sviluppi e dettagli, “l’immagine di un mondo” – scrive sempre René Radrizzani – “in cui verità e menzogna sono indissolubilmente mescolate”.

Un romanzo-labirinto nel quale perdersi e ritrovarsi, un lavoro di scrittura paziente e venato di follia, ma anche razionale e lucidissimo, arzigogolato e consapevole di sé, un viluppo dentro il quale l’Autore ha forse voluto nascondersi, fino a quando quella fatale pallottola d’argento non ha assunto le dimensioni giuste per porre termine tanto all’opera quanto alla vita. Ammesso che, nel caso di Potocki, siano due cose distinte.                          

(Recensione scritta ascoltando i Madrugada, “The Kids Are on High Street”)

PREGI:
strutturalmente, è una lettura unica, che appassiona e diverte, ma che regala anche qualche brivido d’orrore e di paura e apre a riflessioni filosofiche e storiche. Troppi ingredienti? Probabile. Ma la mente di Jan Potocki li domina tutti e l’opera, miracolosamente, e pur nelle sue pachidermiche dimensioni, non sfugge mai di mano all’Autore, proliferando ma non perdendo i contorni e i confini   

DIFETTI:
lo stile, a detta di chiunque abbia letto il libro per intero, non va sempre di pari passo con la forza immaginativa e visionaria dell’Autore. Alcune giornate, in particolare tra le ultime, appaiono un po’ forzate e schematiche, grezze, come se si trattasse più di abbozzi che di stesure definitive, e qualche personaggio finisce per sfuggire tra le maglie della scrittura, scomparendo inopinatamente o apparendo dal nulla… Peccati comunque veniali sull’arco di un’opera così briosa e immaginifica!   

CITAZIONE:
“Finalmente mi svegliai per davvero; il sole mi bruciava le palpebre. […] Dove troverò le parole per esprimere l’orrore da cui fui assalito? Ero sdraiato sotto la forca di Los Hermanos. I cadaveri dei due fratelli di Zoto non erano appesi, ma sdraiati al mio fianco. A quanto pareva avevo passato la notte con loro. Giacevo su pezzi di corda, frammenti di ruote, resti di carcasse umane e sugli stracci schifosi che la putrefazione aveva staccato da loro.” (pag. 43)

NOTA: i fotogrammi riportati nel testo sono tratti dal film “Manoscritto trovato a Saragozza” di Wojciech Has (Polonia, 1964, 180′)

GIUDIZIO SINTETICO: ****

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il ìsistema Mereghettiî, che va da 0 a 4 ìstellineî: a 0, ovviamente, i giudizi pi˘ negativi, a 4 quelli pi˘ positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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*1/2
NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
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***1/2
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ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO