Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati
A cura di Roberto Mandile
PUNTATA 126
FIGLI E FIGLIE, TRA PREOCCUPAZIONI E SPERANZE
Adottivi, naturali, legittimi, illegittimi: fatiche e gioie dell’essere genitore
Rex Stout – NERO WOLFE E SUA FIGLIA (1940)
Di cosa parla: Una ragazza, Carla Lovchen, si presenta al cospetto di Nero Wolfe per chiedergli il suo aiuto. La giovane dice di essere originaria del Montenegro, come Wolfe, e di essersi presentata per conto di una sua amica, Neya Tormić, che è stata accusata del furto di alcuni diamanti avvenuto nella scuola di scherma e danza, dove le due lavorano. Sarebbe un caso da niente, se non fosse che Neya è niente meno che la figlia adottiva di Wolfe, della cui esistenza nessuno era a conoscenza, e se presto non intervenisse un omicidio a rendere tutto molto più complicato…
Commento: I grandi investigatori della letteratura gialla (almeno di quella classica) in genere non hanno figli. Passi per Sherlock Holmes o Poirot o Philo Vance, troppo assorbiti dalla propria professione e dal proprio ego debordante per pensare anche soltanto di mettere su famiglia, figurarsi riprodursi! Ma la stressa condizione riguarda pure personaggi meno eccentrici, come il commissario Maigret (che almeno ha una moglie) o Ellery Queen (il vero investigatore; il padre non conta) o Miss Marple. Colpisce, dunque, il caso di Nero Wolfe al centro di questo romanzo, il settimo che lo vede protagonista, in cui si approfondiscono le origini del grande investigatore rievocando alcuni momenti della sua trascorsa giovinezza (niente, comunque, che possa intaccarne l’immagine!). Ma, come sempre in Stout, più che la storia, in sé e per sé non tra le più memorabili (e anche chi si aspetta grandi rivelazioni sulla figlia, peraltro adottiva, non si illuda troppo), quel che conta è la scrittura smagliante che, pagina dopo pagina, accompagna il lettore nel mondo familiare del detective di New York, alle prese con le sue amate orchidee, le prelibatezze del cuoco Fritz Brenner, i burrascosi scambi con l’ispettore Cramer; il tutto visto attraverso l’ironia sottile del narratore Archie Goodwin.
GIUDIZIO: ***
Romain Gary – LA VITA DAVANTI A SÉ (1975)
Di cosa parla: Mohammed, per tutti Momò, è un ragazzino arabo che è stato cresciuto a Belleville, nella periferia parigina, da Madame Rosa, una prostituta ebrea, reduce di Auschwitz, che lo ha allevato fin da piccolo: la madre era anche lei una prostituta, scomparsa nel nulla; le uniche notizie del padre sono i vaglia mensili che Madame Rosa ha ricevuto per anni, per il mantenimento, e che da qualche tempo però non arrivano più. La donna, peraltro, sta ormai invecchiando e coi suoi quasi cento chili fatica anche a salire le scale fino al sesto piano del suo appartamento. Il dottor Katz, chiamato a visitarla, le diagnostica una grave malattia e le consiglia il ricovero, ma a badare a lei penserà Momò, che riuscirà a ottenere la solidarietà di amici e vicini di casa, ma che presto dovrà anche scoprire un’amara verità su sé stesso…
Commento: Pubblicato con lo pseudonimo di Émile Ajar da Romain Gary, a sua volta pseudonimo di Roman Kacew, lituano di nascita, ma francese d’adozione, il romanzo, vincitore del Premio Goncourt nell’anno dell’uscita, venne attribuito al suo autore, già noto e celebrato (aveva già ottenuto lo stesso riconoscimento nel 1956 con Le radici del cielo), solo dopo la sua morte, avvenuta per suicidio nel 1980. Se la vita di Gary fu quanto mai movimentata (fu, tra le altre cose, un eroe della liberazione della Francia durante la Seconda guerra mondiale, al punto da essere insignito della Legion d’Onore, un diplomatico, nonché marito dell’attrice americana Jean Seberg, morta anch’essa suicida), non meno variegata è l’esistenza di Momò: è la sua voce narrante a riscattare una vicenda umana che certa sociologia non esiterebbe a definire di emarginazione, facendole assumere i toni ora vivaci ora commoventi con cui solo l’ingenua vitalità dello sguardo di un ragazzino sa guardare alla realtà. Non un capolavoro, come forse si è detto, ma se si prescinde da una lettura ideologica cui potrebbero indurre i grandi temi che il libro tocca (l’integrazione multietnica e religiosa, l’eutanasia), resta un romanzo coinvolgente.
GIUDIZIO: ***
PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI
Abel Cornelius, professore di storia, vive con la moglie, i figli e i domestici in una villa alla periferia di Monaco. Il dopoguerra ha lasciato strascichi nella vita di tutti i giorni e, nell’organizzare una festa in casa propria, il padrone di casa, fedele alle sue idee conservatrici e spaventato dall’affermarsi nel Paese di tendenze rivoluzionarie, cerca di ripristinare un’aria di rispettabilità e di decoro vecchio stile, ma dovrà fare i conti con le aspirazioni e le inquiete bizze dei suoi figli. In questa novella dalle forti sfumature autobiografiche, intitolata significativamente Disordine e dolore precoce, Thomas Mann, con la consueta eleganza di stile, tratteggia un bozzetto familiare ambientato nella Germania della Repubblica di Weimar, sospesa tra un passato imperiale ormai disfatto e le tensioni di una società in fermento, in cui pubblico e privato si rispecchiano e cominciano a incrinarsi. Il dolore precoce del titolo è naturalmente quello dei figli, stretti tra la rigidità dell’educazione imposta dal padre e gli affanni di un’epoca cruciale per la storia novecentesca non solo della Germania ma dell’intera Europa.
Il mondo e i figli: per un genitore nulla forse è più controverso quanto questo rapporto. Se gli altri sembrano scomparire alla nascita di un figlio, quasi che tutto non possa che ruotare intorno a lui, è anche vero che il mondo in cui crescerà (e che un padre o una madre non vedranno se non in parte) è motivo di una preoccupazione sottile persino di fronte alla speranza che una creatura, con il semplice fatto di esistere, sa infondere in chi l’ha messa al mondo. È il tema di A mia figlia in partenza,bellissimo testo di uno dei più profondi, amari, essenziali (e leggibili, nonché misconosciuti) poeti italiani del Novecento, il siciliano Bartolo Cattafi:
“Non è nemmeno un anno
che frigni e sorridi a questo mondo
apertosi per te
inesplicabilmente colorato.
Oggi in partenza da Villa San Giovanni
in braccio a tua madre dietro
un vetro del diretto per Milano
fai ciao con la manina al mondo
(che qui è lo Stretto di Messina
uomini pensiline
un’aria estiva immondi
rifiuti ferroviari)
saluti forse anche me
al seguito del mondo
ora che il mondo vive
o fa finta di vivere per te”
Testi citati
Thomas Mann – DISORDINE E DOLORE PRECOCE (1926)
Bartolo Cattafi – A MIA FIGLIA IN PARTENZA, in “18 dediche” (1978)