Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati
A cura di Roberto Mandile
PUNTATA 131
AVVOCATI, GIUDICI, UOMINI DI LEGGE
Nei gialli la legge (talvolta) è uguale per tutti. E altrove?
Erle Stanley Gardner – PERRY MASON E LA CLIENTE MISTERIOSA (1936)
Di cosa parla: Il giudice Mallory, australiano, si presenta nello studio di Perry Mason, per uno stano consulto: gli chiede se sarebbe disposto a difendere una donna accusata vent’anni prima di omicidio colposo in seguito a un incidente stradale e da allora sfuggita all’arresto. L’avvocato inizia a indagare per proprio conto e viene a scoprire una storia intricatissima, nella quale è implicato il miliardario Ronald C. Brownley, che poco dopo verrà assassinato, apparentemente da una donna…
Commento: Earle Stanley Gardner esercitò a lungo la professione legale. Poi, per arrotondare, cominciò a scrivere: è diventato uno degli scrittori più prolifici della letteratura poliziesca, arrivando a qualcosa come circa 130 romanzi, per tacere degli innumerevoli racconti. La sua creatura più nota, l’avvocato Perry Mason, protagonista dia in una novantina di storie lunghe, ha fatto la fortuna di Raymond Burr, che per la CBS tra il 1957 e il 1966 girò ben 271 episodi di una serie televisiva che ebbe grande successo anche in Italia; l’attore americano (il memorabile uxoricida de La finestra sul cortile di Hitchcock) vestirà di nuovo i panni del personaggio in altri 26 film per la TV realizzati tra il 1985 e il 1993, anno della sua morte. Eppure, a dispetto della sua versione televisiva, il Perry Mason di Gardner, più che a un avvocato da studio legale o da aula giudiziaria, assomiglia a un investigatore privato – il suo terreno d’azione, nonché la città in cui lo scrittore visse a lungo, è la California, culla del giallo all’americana. Anche questo libro, più che un giallo giudiziario, è un poliziesco d’azione. La storia è tanto solida quanto complicata, nella miglior tradizione dell’hard boiled: Perry Mason supera il suo fido investigatore Paul Drake nel mostrarsi in versione Sam Spade o Philip Marlowe; neppure la scoperta del colpevole è affidata alla consueta arringa in tribunale.
GIUDIZIO: **

John Dickson Carr – IL GIUDICE È ACCUSATO (1941)
Di cosa parla: Horace Ireton è un anziano giudice inflessibile e particolarmente rigido. Quando sua figlia Constance gli comunica che si è fidanzata ed è prossima a sposarsi con Anthony Morell, un uomo che nel passato è stato coinvolto in un controverso caso giudiziario che ha fatto clamore, Ireton si mostra alquanto perplesso. I suoi dubbi crescono allorché conosce il promesso sposo, al quale offre una cifra in cambio della rinuncia al matrimonio. Morell accetta e i due si danno appuntamento il giorno dopo nella villa al mare del giudice per concludere l’affare. Sarà uno shock per la polizia, richiamata sul luogo da una telefonata, scoprirvi il cadavere del giovane e Horace Ireton seduto in poltrona con una pistola in pugno. Cos’è successo davvero? La verità dei fatti sarà difficile da ricostruire anche per Gideon Fell…
Commento: Il quattordicesimo dei ventitré romanzi con protagonista il pachidermico investigatore inventato dallo scrittore americano è, per certi versi, anomalo nella produzione di Dickson Carr. Intanto per la scarsità di personaggi (sei in tutto, compresa la vittima ed esclusi gli inquirenti) e poi, soprattutto, per la natura particolare dell’enigma, che non consiste nel consueto catalogo di fatti inspiegabili o impossibili ma ruota intorno a una domanda semplice e chiarissima: “Le apparenze ingannano?”. Le attese non vanno del tutto deluse, ma resta alla fine l’impressione che, al netto di una sostanziale linearità della trama, qualcosa non torni del tutto, sia nella soluzione e nello scioglimento della storia sia nei trucchi che l’autore ha disseminato qua e là. O forse il difetto sta nel fatto che l’unico personaggio davvero interessante, per l’autore prima ancora che per il lettore, è il giudice Ireton. Il che rischia di far passare in secondo piano il crimine, l’indagine e la scoperta della verità, ossia gli elementi che hanno fatto di Carr uno dei migliori scrittori di gialli classici.
GIUDIZIO: **

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI
Nei gialli, dunque, il trionfo della legge è a sua volta legge, anche se, come dimostrano alcuni casi noti e meno noti (uno, celeberrimo, si trova in uno dei capolavori di Agatha Christie), avvocati e giudici non sempre sono al di sopra di ogni sospetto. Talvolta, poi sono essi stessi a recitare la parte più ingrata di un poliziesco: come, ad esempio, in L’avvocato delle cause vinte di Rex Stout. Il codice morale di Nero Wolfe – si sa – è rigidissimo e il delitto, naturalmente, è quanto di più esecrabile possa esistere secondo il noto investigatore. È facile, dunque, capire come possa sentirsi quando un’avvocata di un importante studio legale, viene uccisa nella sua stessa casa, e per di più strangolata con una sua cravatta! L’offesa è talmente grave che solo la ricerca del colpevole potrà sanarla. Anche a costo di mettersi contro la polizia e rischiare l’arresto da parte dell’ispettore Cramer. Anche nello spazio del racconto lungo o romanzo breve, Rex Stout non solo sa costruire gialli credibili ma riesce a giocare con i soliti elementi della sua opera, tanto familiari quanto cari ai suoi lettori, in un meccanismo oliatissimo che si regge sull’ironia di una scrittura levigata e concreta al tempo stesso.
Uscendo dai confini del giallo, non è difficile imbattersi in vere e proprie invettive contro giudici e avvocati. È facilissimo, ad esempio, per Giuseppe Gioachino Belli – siamo nel 1832 (l’Azzeccagarbugli di Manzoni è ancora fresco di stampa) – prendersela con la massa di avvocati che affollavano Roma, intenti solo al guadagno personale e non agli interessi dei propri clienti, e tantomeno della giustizia: altro che seguaci della Congregazione di Sant’Ivo, il patrono degli avvocati e dei giudici e vero difensore dei poveri!
Ar monno novo è ccome ar monno vecchio:
cqua dde curiali sce ne sò sseimila;
e li pòi mette tutticuanti in fila,
ché ssempre è acqua cuer che bbutta er zecchio.
Ce sò ppassato, sai?, pe sta trafila:
a ssentí a lloro, ognun de loro è un specchio;
ma o ccuriale, o mmozzino, o mmozzorecchio,
tutti vonno maggnà ne la tu’ pila.
Pe ccarità, nnun mentovà Ssant’Ivo!
Ché o Ssant’Ivo o Ssant’Ovo, a sto paese
dillo un prodiggio si ne scappi vivo.
Ma a Ssant’Ivo sò angioli o ccuriali?
Curiali? ebbè, cquer che sparagni a spese
ar fin der gioco se ne va a rrigali.

È altrettanto facile per Edgar Lee Masters immortalare, sulla collina di Spoon River, la storia di Selah Lively, che, divenuto giudice, si vendicò delle ingiurie che tutti gli rivolgevano per la sua statura, arrivando – come cantò Fabrizio De André, con un’incisività persino superiore a quella del poeta americano (l’album Non al denaro non all’amore né al cielo è tutto un capolavoro) – “fino a dire che un nano è una carogna di sicuro perché ha il cuore troppo, troppo vicino al buco del culo”:
Immaginate di essere alto cinque piedi e due pollici
e di aver cominciato come garzone droghiere
finché, studiando legge di notte,
siete riuscito a diventar procuratore.
E immaginate che, a forza di zelo
e di frequenza in chiesa,
siate diventato l’uomo di Thomas Rhodes,
quello che raccoglieva obbligazioni ed ipoteche,
e rappresentava le vedove
davanti alla corte. E che nessuno smettesse
di burlarsi della vostra statura,
e deridervi per gli abiti e gli stivali lucidi.
Infine voi diventate il Giudice.
Ora Jefferson Howard e Kinsey Keene
e Harmon Whitney e tutti i pezzi grossi
che vi avevano schernito sono costretti a stare in piedi
davanti alla sbarra e pronunciare “Vostro Onore”.
Be’, non vi par naturale
che gliel’abbia fatta pagare?

Testi citati
Rex Stout – L’AVVOCATO DELLE CAUSE VINTE (1962)
Giuseppe Gioachino Belli – SICUT’ERAT IN PRINCIPIO NUNCHE E PPEGGIO – (1832)
Edgar Lee Masters – IL GIUDICE SELAH LIVELY, in “Antologia di Spoon River” – traduzione di Fernanda Pivano (1915)