# 281 – Philip Dröge – TERRA DI NESSUNO (Keller Editore, 2020, pagg. 284)
Sorto inaspettatamente nel 1815 in seguito a un errore nella stesura di un trattato durante il celeberrimo Congresso di Vienna, e trascinatosi tra alterne vicende fino a dopo la Prima Guerra Mondiale, il microstato del Moresnet Neutrale è una di quelle bizzarrie geopolitiche che fanno simpatia: con una superficie di appena 3,4 chilometri quadrati, incuneato tra Paesi Bassi, Belgio e Germania, completamente dipendente dalle fortune di una prolifica miniera di zinco, Moresnet è stato, per alcuni, un sogno a occhi aperti (un Paese senza tasse, governato dal Codice Napoleonico fino al 1919 e con un sindaco come Capo di Stato!) e, per altri, un incubo frutto di sciatteria diplomatica, un errore storico da cancellare. Dopo il commovente tentativo di diventare la Patria dell’esperanto, la celebre lingua artificiale inventata alla fine del XIX secolo dal professor Zamenhof con intenti pacifisti, e ribattezzatosi – per un breve periodo – “Amikejo” (“Terra dell’Amicizia” in esperanto), Moresnet non sopravvisse al primo conflitto mondiale, ma la sua storia ha molto da insegnare sulla voglia di libertà degli esseri umani e sull’utopia di una fratellanza che la Storia, purtroppo, non ci ha mai regalato.
Ovviamente, questo “Terra di nessuno” non è un libro di narrativa, o meglio, non è solo un libro di narrativa. La narrazione, per la verità, c’è eccome e, anzi, Philip Dröge è molto bravo a conferire ritmo e afflato narrativo a quello che, in altre mani, sarebbe stato magari un noioso saggio di geopolitica, buono per le Università ma non per i lettori comuni.
Invece il principale pregio di questo libro è proprio la freschezza del racconto, che affronta grandi temi e questioni legali e politiche anche molto complesse, ma senza darsi arie e soprattutto senza mai rinunciare a far capire al lettore – anche a chi non si intende affatto di politica europea dell’Ottocento – quali siano state le incredibili fortune e le sfortune di quel minuscolo fazzoletto di terra che si venne a creare, inizialmente, tra Paesi Bassi e Prussia, e poi, in seguito all’indipendenza del Belgio e alla nascita della Germania, addirittura al confine fra tre Paesi, brillando per neutralità più che per indipendenza, perché realmente indipendente Moresnet non lo è mai stato, così piccolo tra i giganti, tanto da non essere paragonabile neppure al manzoniano vaso di coccio tra i vasi di ferro; Moresnet è stato, piuttosto, una scheggia di vaso di coccio, infilatasi (fastidiosamente, per alcuni) tra le maglie di Nazioni ben più serie e rappresentative, ben più potenti e rispettabili.
Ve l’immaginate il Kaiser che, a Berlino, non riesce a sbarazzarsi di un microstato nato per errore la cui capitale – Kelmis – conta poche centinaia di abitanti, quasi tutti minatori oppure biscazzieri? E non è, per gli uomini, un sogno comprensibile quello di potersene stare in un fazzoletto di terra che non appartiene a nessuno Stato potente e oppressivo? Un triangolino governato da un sindaco con il quale era possibile, per chiunque, alla sera, andare a bere una birra parlando di… questioni di Stato! Più condominio che Nazione, Moresnet ha avuto anche un lato oscuro, legato a prostituzione, gioco d’azzardo e contrabbando, vista la “porosità” delle sue frontiere, e tutto questo, questa incredibile, romantica storia durata più di un secolo, Philip Dröge la racconta veramente bene, scendendo in dettagli ove necessario e accelerando quando occorre, regalando aneddoti e celebrando, senza mai esagerare, i protagonisti, a volte involontari, di una storia che di volontario sembra non aver avuto nulla, frutto di un errore casuale nel tracciare un confine e trascinatasi per decenni un po’ per interesse economico, un po’ per pigrizia e un po’ per malizia.
Fino all’arrivo dell’esperanto: con la lingua universale di Zamenhof, Moresnet tenta il grande colpo, tenta di legittimarsi come Paese dell’Amicizia tra popoli, si attribuisce l’improbabile nome di “Amikejo” e sfida apertamente i suoi colossali vicini. Meritava miglior fortuna? Probabilmente sì, ma la Grande Guerra giunge a spazzare via tutto, esperanto compreso che, da promettente lingua-ponte tra i popoli, diventa una curiosità tra le tante, e ancor oggi – seppur parlata da qualche milione di persone – essa è più un esperimento che un successo, più un desiderio che una realizzazione. Un po’ come Moresnet, sospeso in un limbo che l’ha visto esistere per il rispettabile tempo di un secolo, per poi evaporare come un sogno di cui, dopo il risveglio, si fatica a mettere a fuoco i contorni. Ecco allora l’importanza di un libro come “Terra di nessuno”, che ne serba e ne tramanda il ricordo, e assieme ad esso, tramanda anche il ricordo di quegli uomini – di cui Dröge fa puntualmente nomi e cognomi – che lo sostennero e provarono a renderlo più stabile, più duraturo, quegli uomini, insomma, che provarono a dare corpo a un sogno, che provarono a trasformare una bizzarra casualità in opportunità, se non per tutti, almeno per tanti.

(Recensione scritta ascoltando Hevia, “No Man’s Land”)
PREGI:
oggettivamente ben scritto e sapiente nella costruzione narrativa, è un saggio travestito da racconto che non rinuncia ad approfondire le principali caratteristiche dell’assurdo microstato nato da un errore al Congresso di Vienna ma che sa anche regalare al lettore lo svago di aneddoti, curiosità (ce n’è una marea!) e personaggi divertenti. Detto in esperanto: «vera plezuro!»
DIFETTI:
forse fin troppo fitto di curiosità e aneddoti, che si vorrebbero imparare e ricordare tutti, il racconto a tratti è distraente, e rallenta un po’ nella parte finale. Ma, sempre per parlar esperanto, «legado estas ĉiam agrabla kaj la Aŭtoro meritas aplaŭdon pro sia sprito!» (La lettura è tanto gradevole che l’Autore merita un plauso per la sua verve!)
CITAZIONE:
“La frontiera rettilinea qua e là attraversa, ad esempio, delle fattorie. Il salotto si trova in Prussia, la cucina invece è neutrale. […] Nessuno sa esattamente quali siano i diritti e i doveri di coloro che abitano entro i confini del territorio, i «neutrali», come sono ben presto ribattezzati dai loro vicini.” (pag. 57)
GIUDIZIO SINTETICO: ***
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…