Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati
A cura di Roberto Mandile
PUNTATA 137
GATTI, CANI E ALTRI ANIMALI (NON SEMPRE) DOMESTICI
Ispiratori a quattro zampe di gialli e thriller, ma anche di poesie
Anita Blackmon – L’ENIGMA DEI GATTI MORTI (1938)
Di cosa parla: Il Lebeau Inn è un albergo di montagna in Arkansas. Adelaide Adams, un’attempata ma vispa zitella, vi ha già soggiornato una ventina di anni prima; questa volta, però, se ha deciso di tornarvi, è per l’invito della sua amica Ella Trotter. La cartolina che ha ricevuto non l’ha lasciata del tutto tranquilla, soprattutto per quella bizzarra richiesta di portarle un libro su fenomeni paranormali. Miss Adams non tarderà molto a scoprire che cosa non va: l’albergo ospita un sedicente professore che, insieme alla sua giovane assistente Sheila Kelly, evoca tramite sedute spiritiche la figlia del milionario Thomas Canby morta da poco, suicida, stando a quel che si dice. Sarà proprio durante uno di questi macabri esperimenti che lo stesso Canby, giunto anche lui al Lebeau Inn, verrà ammazzato brutalmente. Se si aggiunge che l’albergo è rimasto isolato, che pochi giorni prima alcuni gatti sono stati ritrovati sventrati e, soprattutto, che nessuno sembra aver dubbi sulla colpevolezza di Sheila Kelly, il quadro è completo…
Commento: Secondo e ultimo dei due gialli scritti da un’autrice americana pressoché sconosciuta anche agli appassionati del genere, è un buon esempio di quel filone che la critica ha catalogato come “Had-I-but-known”, ossia “Se l’avessi saputo”, in quanto l’io narrante, in genere una donna, racconta i pericoli a cui è scampato quando si è ritrovato coinvolto in un episodio criminale. La buona riuscita di questi libri risiede proprio nella capacità della voce della narratrice di usare una gamma di toni tale da tener desto l’interesse del lettore. È il caso del nostro romanzo, che ha il suo punto di forza proprio nel personaggio di Miss Adams, capace di condire di una buona dose di umorismo ma anche di sana razionalità il racconto di una vicenda assai inquietante, tutta giocata sul confine del paranormale. L’atmosfera è resa ancora più inquietante dall’ambientazione (l’albergo isolato dal maltempo), e l’indagine funziona per contrasto: Miss Adams e il giornalista Chet Keith sembrano gli unici capaci di seguire un metodo rigoroso, a differenza del grossolano sceriffo Latham e dei suoi ancor più rozzi agenti. La tensione regge, anche se a costo di qualche evidente forzatura, ma si stempera decisamente nel finale, piuttosto prolisso e verboso. La soluzione e la scoperta del colpevole (pressoché impossibile indovinarlo, e non è un punto a favore) sono, per molti versi, meno interessanti del resto.
GIUDIZIO: **½

Patricia Highsmith – DELITTI BESTIALI (1975)
Di cosa parla: C’è Ballerina, l’elefantessa che vive in gabbia e viene addestrata per esibirsi davanti ai visitatori ma che un giorno finisce per ribellarsi contro il nuovo guardiano. C’è Djemal, il cammello che si vendica del suo padrone Mahmet che lo sfrutta per vincere una corsa nel deserto. E poi ci sono il cane Barone, il gatto Ming, il maiale da tartufi Samson, la giumenta Fanny, la scimmia Eddie addestrata ai furti nelle case, il furetto Harry, la capra Billy, e ancora un topo veneziano, alcuni polli da allevamento, dei criceti che si moltiplicano nel giardino di una casa americana, e persino uno scarafaggio pensante: tutti colpevoli di omicidio nei confronti degli uomini e delle donne da cui, perlopiù, sono stati offesi, maltrattati, torturati…
Commento: La trovata di fondo che fa da filo rosso ai tredici racconti della raccolta consiste nel mettere in scena gli animali nel ruolo di assassini. Trattandosi di letteratura e non di zoologia, ogni verosimiglianza, in termini etologici, non è richiesta. La questione semmai è un’altra: ma gli animali che ammazzano sono semplicemente restituiti alla loro natura, fatta di istinto e di spirito di sopravvivenza, o in qualche modo finiscono per assumere tratti umani, mossi come sono da moventi precisi nell’attuare le loro vendette? La risposta non è facile perché l’autrice oscilla tra queste due visioni, col risultato che, sul piano strettamente letterario, i racconti più riusciti sono quelli in cui lo schema narrativo è meno scontato. Mentre, ad esempio, le vicende dell’elefantessa Ballerina (l’unico animale a narrare la vicenda in prima persona) o del cammello Djemal seguono un filo piuttosto prevedibile (troppo cattivi gli umani per non meritare la fine che fanno), decisamente più interessanti risultano i racconti che vedono protagonisti dei polli d’allevamento, un topo o dei criceti, laddove gli animali (significativamente privi di nome) sono meno umanizzati e la scrittrice mette pienamente a frutto la sua capacità di creare suspense conferendo alle storie tratti inquietanti e persino orrorifici.
GIUDIZIO: **½

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI
Come vi immaginereste il rapporto tra Nero Wolfe, il più burbero degli investigatori della letteratura gialla, e un cane? Per scoprirlo, basta leggere Nero Wolfe non abbaia ma morde (il titolo originale, più crudo e impersonale, è Die like a dog) di Rex Stout. La vicenda prende le mosse da un fatto curioso: Archie Goodwin, il fido assistente di Nero Wolfe, passando per caso vicino alla scena di un delitto, viene seguito fino a casa da un cane. Di lì a poco si scoprirà che il morto, lo scrittore Philip Kampf, è il padrone dell’animale. L’uomo viveva nello stesso palazzo di Richard Meegan, un fotografo che poche ore prima aveva chiesto consulenza a Wolfe per ritrovare sua moglie. L’investigatore aveva rifiutato l’incarico, ma finirà per essere trascinato nel caso d’omicidio quando Archie s’imbatterà in una bella ragazza che fa la cantante e ha qualcosa da nascondere. Alla già abbondantissima produzione di romanzi, il generosissimo Rex Stout ha affiancato anche una ricchissima serie di novelle o romanzi brevi, che in genere venivano pubblicati in gruppi di due o tre. Sono anche questi una delizia, per via di quell’aria di casa che si respira ogni volta che ci si intrufola nella dimora in arenaria sulla Trentacinquesima strada. È buona anche la storia in sé. E poi vale la pena vedere Wolfe affezionarsi a qualcuno, anche se ha quattro zampe, è peloso e con la coda.
Gli animali domestici hanno ispirato non solo autori di romanzi gialli o affini, ma notoriamente hanno offerto materia pressoché infinita per poeti e versificatori di ogni epoca e latitudine, da Baudelaire a Pascoli, da Neruda a D’Annunzio, da Eliot a Borges, per limitarsi ai primi nomi che ci sovvengono. I gatti e i cani che abbiamo avuto o che abbiamo conosciuto fanno parte della nostra memoria tanto quanto gli umani, a volte anzi – come suggerisce Eugenio Montale – anche di più:
Nei miei primi anni abitavo al terzo piano
e dal fondo del viale di pitòsfori
il cagnetto Galiffa mi vedeva
e a grandi salti dalla scala a chiocciola
mi raggiungeva. Ora non ricordo
se morì in casa nostra e se fu seppellito
e dove e quando. Nella memoria resta
solo quel balzo e quel guaito né
molto di più rimane dei grandi amori
quando non siano disperazione e morte.
Ma questo non fu il caso del bastardino
di lunghe orecchie che portava un nome
inventato dal figlio del fattore
mio coetaneo e analfabeta, vivo
meno del cane, e strano, nella mia insonnia.

Testi citati
Rex Stout – NERO WOLFE NON ABBAIA MA MORDE (1954)
Eugenio Montale – NEI MIEI PRIMI ANNI ABITAVO AL TERZO PIANO, in “Quaderno di quattro anni” (1977)