Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati
A cura di Roberto Mandile
PUNTATA 138
PASSIONI ESAGERATE
Quando l’amore è assoluto e talvolta devastante
Ellery Queen – QUATTRO DI CUORI (1938)
Di cosa parla: Ellery Queen è a Hollywood da qualche settimana. Una casa cinematografica lo ha ingaggiato per scrivere sceneggiature, ma, a sentire lui, non sta facendo nulla a causa della difficoltà di farsi ricevere dal produttore. Quando finalmente riesce a incontrarlo, scopre che dovrà lavorare a un film biografico che vedrà il ritorno sulle scene di una coppia di attori di fama al centro dell’attenzione da diversi anni anche per la fine burrascosa della loro relazione d’amore. I due si sarebbero riavvicinati, al punto che hanno deciso di sposarsi, con un matrimonio in grande stile, che si dovrà tenere in un aeroporto di fronte a centinaia di persone; subito dopo la cerimonia, gli sposi decolleranno per la luna di miele verso un luogo misterioso. Le cose però vanno in altro modo: qualcuno si sostituisce al pilota e, quando l’aereo sarà ritrovato in un altopiano nei dintorni di Los Angeles, a bordo ci sono solo i cadaveri dei due attori…
Commento: Il secondo romanzo di ambientazione hollywoodiana di Ellery Queen è senz’altro meno pasticciato del primo, Hollywood in subbuglio,pubblicato nello stesso anno. D’altronde, nella seconda metà degli anni Trenta, il successo che è arriso ai cugini Dannay-Lee è tale che, oltre ad aver fruttato loro lauti guadagni, li mette anche nella condizione di adeguare, almeno parzialmente, il loro stile rispetto ai libri precedenti. Non si tratta di cambiamenti radicali, beninteso, ma di piccole novità, nella trama (molto più semplice e meno cervellotica) e nella caratterizzazione dei personaggi, a partire dall’investigatore protagonista che, operando in trasferta, è privo della controfigura del padre e si mostra più attivo del solito. Ma è soprattutto nell’affiancamento di una serie di sottotrame amorose (una delle quali coinvolge anche Ellery, che si infatua di Paula Paris, giornalista di cronaca mondana affetta da agorafobia) che si coglie la novità più rilevante, e probabilmente più hollywoodiana, di questo romanzo, in cui l’enigma poliziesco, in realtà piuttosto contorto, appare come in secondo piano, riprendendosi la scena quasi solo nel finale. Non che la storia non abbia una sua razionalità (ma, certo, qualche perplessità a livello investigativo è legittima), eppure l’insieme risulta piuttosto datato, il che è paradossale per un giallo che, nel catalogo degli autori, è forse quello che più si sforza di essere contemporaneo attraverso la scelta di rappresentare un mondo, quello del cinema, che all’epoca era la quintessenza della modernità. Non manca un tocco di ironia nella (parziale) sconfessione del metodo scientifico di Ellery, visto che anche Paula Paris arriva, per vie meno rigorose, alla scoperta del colpevole.
GIUDIZIO: **
Irène Némirovsky – IL CALORE DEL SANGUE (2007)
Di cosa parla: In un borgo rurale della provincia francese, abitano Hélène e François, ricchi proprietari terrieri, modello, a detta di tutti, di felicità coniugale. La loro figlia, Colette, è pronta alle nozze con un giovane, Jean, figlio a sua volta di una rispettabile coppia del villaggio. I due sembrano, agli occhi di tutti, innamorati. Eppure, come racconta Sylvestre, il cugino di Hélène e François, sotto le apparenze covano passioni esplosive: chi potrebbe sospettare, infatti, che Colette, a nozze contratte, tradirà il marito finendo per invischiarsi in guai ben più seri, destinati a loro volta a far cadere molti veli che coprivano vicende del passato rimaste a lungo celate?
Commento: Scritto nel 1941, ma pubblicato solo nel 2007 dopo la riscoperta del manoscritto che si credeva perduto, è un romanzo breve che scava nelle pieghe della vita borghese di provincia con la sensibilità e l’attenzione per l’indagine psicologica che caratterizza l’autrice. Il riferimento più immediato sono certi romanzi di Simenon (c’è anche una trama gialla, nel libro), ma se lo scrittore belga raffredda la materia narrativa dando prova di un’asciuttezza di stile inarrivabile, Irène Némirovsky è più avvolgente, più incline a un certo pathos, come si può dedurre già dal titolo (il “calore del sangue” è evocato esplicitamente, nel corso della storia, per giustificare gli eccessi della passione a cui tutti sono soggetti durante la giovinezza). E se le pagine iniziali disorientano un po’, ritardando forse troppo l’avvio della storia, la conclusione propone un ribaltamento pressoché totale di prospettiva che, per quanto forse un po’ forzato nei toni, non lascia indifferenti. Al fondo della vicenda, l’interrogativo angoscioso che l’autrice pone riguarda non tanto l’ipocrisia della rispettabile borghesia campagnola, quanto la malinconia del tempo che passa e che oblitera gli slanci passionali della giovinezza, i quali, pur con il loro carico di eccessi e persino di tragedie, sono però l’essenza stessa della vita, flusso di passioni tanto irresistibili quanto pericolose.
GIUDIZIO: **½
PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI
Lettere, bugie, alcool, addii, liti furibonde, fughe e inseguimenti, treni e stazioni ferroviarie, una pistola che spara, minacce, due anni di prigione: è vita o letteratura? Difficile distinguere l’una dall’altra rievocando la relazione più scandalosamente nota nella Parigi del secondo Ottocento, quella tra Paul Verlaine e Arthur Rimbaud. Dieci anni esatti di differenza a vantaggio del primo, che era sposato e con un figlio in arrivo quando perse la testa – così avrebbe detto la morale borghese – per un ragazzo di diciassette anni, talento poetico precocissimo. Una passione, quella tra i due, difficile da inquadrare non solo secondo i canoni etici correnti, ma per le interferenze tra le poco allineate scelte biografiche da un lato e la carica rivoluzionaria della loro opera, destinata a scardinare molte delle convenzioni secolari e a imprimere un corso nuovo alla letteratura a venire. Poeti maledetti certo, come lo stesso Verlaine intitolò la raccolta che pubblicò nel 1884 e che comprendeva, oltre a testi suoi, anche componimenti di Rimbaud. A quest’ultimo è invece intitolata la seguente poesia, suggello di una relazione estrema e destinata, di lì a breve, a concludersi tragicamente con la morte a 37 anni di Arthur:
Mortale, angelo E démone, vale a dire Rimbaud,
tu meriti il primo posto in questo mio libro,
benché uno sciocco imbrattacarte t’abbia trattato da debosciato
imberbe e mostro in erba e studente ubriaco.
Le spirali d’incenso e gli accordi di liuto
segnalano il tuo ingresso nel tempio della memoria
e il tuo nome radioso canterà nella gloria,
perché mi hai amato come bisognava.
Le donne ti vedranno gran giovanotto forte,
bellissimo d’una bellezza contadina ed astuta,
molto desiderabile, di un’indolenza audace
La storia ti ha scolpito trionfante sulla morte
e fino ai puri eccessi amante della vita,
poggiati i bianchi piedi sulla testa dell’Invidia!
Nove gli anni di differenza invece tra Sibilla Aleramo e Dino Campana, per un’altra relazione che nell’Italia di inizio Novecento destò scalpore. Un altro amore all’insegna di fughe e inseguimenti, insulti e percosse, malattia mentale (quella che porterà lui a quattordici anni di ricovero coatto e alla morte), slanci passionali e schiaffi alla morale corrente. Un amore, ancora una volta, segnato anche dalla letteratura, con Sibilla già affermata scrittrice dello scandalo con il romanzo (autobiografico) Una donna e Dino che, con i Canti orfici, si imponeva come il poeta visionario e maledetto (troppo facile, ma anche innegabilmente evidente il legame, biografico e poetico, con Rimbaud!). A Sibilla Aleramo sono dedicati i seguenti versi:
In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose
P. S. E così dimenticammo le rose.
(per Sibilla Aleramo)
Testi citati
Paul Verlaine – AD ARTHUR RIMBAUD, in “Dediche” – traduzione di Alessandro Quattrone (1890)
Dino Campana – IN UN MOMENTO, in “Taccuini, abbozzi e carte varie I” (1972)