Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati
A cura di Roberto Mandile
PUNTATA 200
VARIAZIONI SUL GIALLO
Esperimenti, divagazioni e divertissement intorno al poliziesco
Giuseppe Pontiggia – L’ARTE DELLA FUGA (1968-1990)
Di cosa parla: In diciannove capitoletti, chiamati “Sequenze”, una serie di brevi e brevissimi frammenti di romanzi possibili, che in realtà sono variazioni, in prosa o in versi, intorno ai temi tipici del genere poliziesco, come il delitto, l’assassino, la vittima…
Commento: «Lei che cosa propone?» chiese lui. «Io propongo di rinunciare» disse il clerc. «A scrivere?» «No, a vivere». «Noi stavamo parlando della trama» disse lui. «Non esiste più» disse il clerc. «Nel romanzo?» «No» disse il clerc. «Nella vita». Sarebbe vano cercare una trama in un’opera sperimentale che fa della rinuncia programmatica alla trama la sua stessa ragion d’essere. Ed è impossibile, dunque, riassumere, anche vagamente, il contenuto del libro, che, stando all’azzeccata definizione di Fruttero & Lucentini, è «il primo, l’unico, “poemetto poliziesco” che sia mai stato scritto». L’opera è frutto di una lenta gestazione, iniziata già nel 1961, sotto l’influsso del movimento della Neoavanguardia che Pontiggia contribuì a fondare (ma da cui proprio in quell’anno, di fatto, si allontanò), e andò incontro a una revisione sistematica che portò, nel 1990, a una nuova versione, a distanza di più di vent’anni dalla prima pubblicazione risalente al 1968. È bene avvicinarsi al libro con la consapevolezza che non si tratta di lettura agevole. Ancor più utile è intenderci sull’idea di fondo, suggerita dal titolo: lo stesso Pontiggia intendeva l’opera come “una partitura musicale, fatta di variazioni intorno a un tema”.
Ma, appunto, se da un lato l’autore procede per sottrazioni, alludendo ed evocando più che sviluppando in senso tradizionalmente narrativo i tanti temi in un discorso continuo, dall’altro la struttura curatissima, con sezioni (le “Sequenze”) e sottosezioni, tutte brevi o brevissime e ciascuna con un titolo, consente di inquadrare meglio il carattere sperimentale del libro nei termini di un’operazione studiatissima e anzi raffinata senza essere manierista o artificiosa. Ciò che, a dispetto del carattere senz’altro impervio dell’opera, non può non colpire è la cura, si sarebbe tentati di dire la fiducia che Pontiggia ripone nella scelta delle parole, evidente soprattutto nelle numerose sezioni in cui l’autore elenca con scrupolo paratattico una gamma di possibili soluzioni narrative applicate a uno dei tanti temi esposti. Pur ammettendo la nostra preferenza per altri libri dello scrittore, meno sperimentali e più strettamente romanzeschi, non possiamo non avvertire, dietro la materia sfuggente cui Pontiggia dà forma, il fascino di una lingua così precisa, curata, lontana da ogni vaghezza retorica o da qualsivoglia concessione al gusto della provocazione
GIUDIZIO: **½

Ruth Rendell – JOCK (2001)
Di cosa parla: Araminta Knox, per tutti Minty, è una maniaca della pulizia: da quando abita da sola nella casa che le ha lasciato la zia che l’ha adottata da bambina, ha fatto dell’ossessione per l’igiene la sua prima regola di vita. Certo, c’è stata, qualche anno fa, una parentesi che sembrava potere imprimere una svolta: la comparsa improvvisa nella sua monotona esistenza e il repentino fidanzamento con Jock. Ma da quando lui è scomparso (morto, a quanto le è stato detto, in un incidente ferroviario), ogni sogno di felicità è svanito e tutto è tornato come prima. Se non che, tornando a casa una sera dal lavoro, Minty lo rivede: è seduto nel suo soggiorno. Non c’è dubbio: è proprio Jock. Eppure, neanche il tempo di chiudere gli occhi e riaprirli, che lui è sparito. È stata un’allucinazione, senz’altro. E non sarà l’ultimo episodio, né l’unico, dato che altri “fantasmi” le appariranno da lì in avanti. Ma per Minty la domanda da farsi è: perché? Che cosa vuole Jock da lei? E, soprattutto c’è da preoccuparsi?
Commento: “Che Minty sia un tipo particolare l’abbiamo sempre saputo. Ti ricordi quei discorsi sui fantasmi?”. Circa a due terzi della storia, il dialogo tra i vicini di casa di Minty, il sergente di polizia Laf e sua moglie, la placida Sonovia, suona tutt’altro che sorprendente per il lettore. Che ha avuto modo di capire – potenza del narratore onnisciente! – come le stranezze della giovane donna, già palesi fin dai primi capitoli, siano ben altro che eccentricità. D’altra parte, la bravura di Ruth Rendell, generosa scrittrice britannica, attiva nel campo del poliziesco per quasi cinquant’anni tra la metà degli anni Sessanta e la sua morte nel 2015, ci ha consentito di conoscere anche le due trame parallele che si intrecciano nel romanzo: quella del matrimonio di facciata tra il parlamentare inglese omosessuale Jims Melcombe-Smith e l’ingenua Zillah, madre di due bambini, e quella che ruota intorno a Fiona Harrington, al suo fidanzato Jeff Leach e ai suoi vicini Michelle e Matthew, alle prese con opposti problemi alimentari. L’elemento d’unione tra le tre vicende ha a che fare con Jock, e di più non diciamo per non svelare troppo dell’intreccio.
Diciamo, invece, che il romanzo è piacevolissimo anche per la vena ironica che scaturisce dall’agile penna dell’autrice. Aggiungiamo poi che assomiglia poco a un giallo o anche a un thriller, per quanto non manchino i crimini, e ha semmai l’andamento di una commedia degli equivoci. A prevalere è senz’altro il divertimento offerto dalla girandola di situazioni e personaggi (specialmente nella vicenda che coinvolge Jims e Zillah). Manca, è vero, un fremito di imprevedibilità: la sostanziale linearità con cui, pur nel continuo intrecciarsi delle sottotrame, tutto si dipana verso un finale ragionevolmente ipotizzabile è il limite del romanzo, compensato tuttavia dalla scorrevolezza della lettura, il che, considerate le più di 350 pagine, ci pare un merito non da poco.
GIUDIZIO: **½

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI
Mrs Farland, ricca e malata vedova che abita in un piccolo villaggio vicino a Londra, sospetta da qualche tempo che qualcuno intorno a lei la stia avvelenando per impadronirsi della sua eredità. Il suo medico, il dottor Cheedle, è convinto che sia solo una fissazione, ma decide, d’accordo con l’avvocato della donna, di affiancarle un’infermiera per tenere la situazione sotto controllo. Quando però la signorina Pointing, l’infermiera chiamata al capezzale, muore misteriosamente prima di raggiungere la casa, i timori aumentano. Sembra la trama di un giallo qualunque, e per molti versi lo è. La particolarità è che Veleno (questo il titolo italiano del libro) è il frutto del lavoro di ben sei autori. L’esperimento si inquadra nell’ambito delle attività del Detection Club, l’associazione letteraria fondata a Londra negli anni Trenta da alcuni grandi scrittori di libri gialli: tra questi, G.K. Chesterton (che ne fu presidente dal 1930 al 1936), Dorothy L. Sayers (presidente dal 1949 al 1957), e Agatha Christie (presidente dal 1957 al 1976). I membri del Club, che si riunivano periodicamente, si dedicarono, sporadicamente, anche alla stesura di romanzi a più mani. Le regole prevedevano che ciascuno scrivesse una parte della storia, proseguendo dal punto in cui si era interrotto il suo predecessore, che in genere lasciava anche appunti e suggerimenti. A dispetto delle disomogeneità tra le diverse sezioni, bisogna riconoscere che, nel nostro caso, il gioco funziona, anche perché il romanzo riesce a essere sufficientemente compatto condensando la vicenda in meno di duecento pagine (più dispersivo, ad esempio, risulta un altro romanzo sfornato dal Detection Club, L’ammiraglio alla deriva, al quale collaborarono ben quattordici autori).
Scrisse sempre da solo, invece, Georges Simenon, che si dedicò da par suo al giallo nei settantacinque romanzi con il commissario Maigret. Ma nell’opera del grande e indefesso scrittore belga non mancano incursioni nel genere poliziesco anche al di fuori delle opere con Maigret, nei cosiddetti “romanzi duri”.
Uno degli esempi più curiosi è Il Sorcio (noto anche con il titolo La trovata di Souris). Il protagonista si chiama Ugo Mosselbach, è un anziano barbone di origine alsaziana che vive a Parigi e tutti conoscono con il suo soprannome: il Sorcio, appunto. Una sera si presenta in un commissariato di polizia con un portafogli pieno di dollari. Se nessuno venisse a reclamarlo, lui potrebbe incassare il denaro e cambiare vita.
Peccato che, a guastare la sua trovata, intervenga la scoperta che vicino al portafogli c’era un cadavere: i guai per il Sorcio sono solo all’inizio. È un giallo in piena regola, che ricorda, per l’ambientazione e i personaggi, i romanzi con Maigret, ma con un tono vivace e frizzante che è piuttosto inconsueto nei libri di Simenon.

Testi citati
D.L.Sayers, F.W. Crofts, V. Williams, F. Tennyson Jesse, A. Armstrong, D. Hume – VELENO (1939)
Georges Simenon – IL SORCIO (1938)

Recensioni di Libri e Film, Racconti e Saggi... a cura di Matteo Fontana