LECTIO BREVIS / 99

Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati

A cura di Roberto Mandile

PUNTATA 99
IL TRENO VA…
Viaggi su rotaie tra convogli leggendari, passeggeri scomparsi, diavolerie moderne e malinconie da stazione

Graham Greene – IL TRENO PER ISTANBUL (1932)

Di cosa parla: Sull’Orient Express, partito da Ostenda e diretto a Istanbul, si intrecciano le storie di alcuni passeggeri. Il signor Myatt, ricco ebreo in viaggio d’affari, fa la conoscenza di Coral Musker, ballerina di fila che sta raggiungendo una compagnia inglese in Turchia. Il dottor Czinner, fuggito cinque anni prima da Belgrado dopo una condanna per reati politici, viene smascherato nella sua nuova identità dalla giornalista d’assalto Mabel Warren, combattuta tra l’inseguimento dello scoop e il rischio di perdere Janet, la sua giovane amante mantenuta. E ancora Josef Grünlich, ladro di professione che salirà sul treno per scampare alle conseguenze di un colpo finito male…

Commento: Il quarto romanzo di Greene è anche il primo grande successo dell’autore, che lo scrisse, come egli stesso ammise, con l’esplicito intento di incontrare i gusti del pubblico e in modo tale da poterne ricavare un film. Il campionario di umanità che viaggia sull’Orient Express, il treno che è stato uno status symbol per l’Europa in movimento soprattutto negli anni tra le due guerre (alla consacrazione definitiva provvide sua maestà Agatha Christie: il suo romanzo, il giallo dal finale più sconvolgente e noto di tutti, uscì un paio d’anni dopo), è vario ma accomunato da una fragilità di fondo che sembra rispecchiare la contraddizione del continente stesso, collegato e tenuto insieme dal sogno universalistico della ferrovia e, al tempo stesso, quanto mai diviso da confini e frontiere sempre più rigidi. Nei vagoni dell’Orient Express aleggiano l’insicurezza, il senso della precarietà, il timore del tradimento, come testimoniano le vicende dell’ebreo Myatt, che sospetta l’infedeltà di un funzionario della sua ditta ma deve fare i conti con l’antisemitismo serpeggiante, o del dottor Czinner, i cui ideali comunisti si devono scontrare con la realtà, o, ancora, e forse soprattutto, di Coral, che spera fino all’ultimo di riscattare la propria vita di ballerina. Per un romanzo che Greene considerava un “divertimento” non è male. Dobbiamo comunque benedire il successo di pubblico per aver consentito all’autore di convertirsi definitivamente alla letteratura. 

GIUDIZIO: ***

Ethel Lina White – LA SIGNORA SCOMPARE (1936)

Di cosa parla: Nel cuore dell’Europa, su un treno in viaggio verso Trieste, la signorina Froy, una innocua zitella inglese di mezza età, scompare nel nulla. L’unica, però, che pare notare la strana circostanza è Iris Carr, una giovane connazionale che sta tornando in patria dopo una vacanza. Nessun altro passeggero, infatti, sostiene di aver mai visto la signorina Froy. A Iris non resta che convincersi di aver avuto un’allucinazione o fare di tutto per provare di non essere diventata pazza di colpo. Ma per dimostrare l’esistenza della donna c’è un’unica possibilità: ritrovarla prima che sia troppo tardi…

Commento: Buona parte della fama del romanzo gli deriva dall’adattamento cinematografico che ne propose Alfred Hitchcock nel 1938 per quello che fu uno dei suoi ultimi film del periodo inglese. Film che lo stesso regista ritenne tecnicamente molto interessante da fare (fu girato in un teatro di posa su una piattaforma con un vagone sopra e gli effetti furono realizzati con schermi di trasparenza e modellini) e che François Truffaut confessò di aver visto infinite volte, restando sempre avvinto dai personaggi e dell’intreccio. I meriti si possono estendere, immutati, al libro, di cui si continuano ad apprezzare la suspense e l’atmosfera claustrofobica conferita dall’ambientazione sul treno, anche a dispetto di alcune inverosimiglianze (lo notava sempre Hitchcock), che però passano in secondo piano rispetto al ritmo incalzante e al facile processo di immedesimazione del lettore / spettatore con la protagonista. Del meno riuscito remake cinematografico del 1979 di Anthony Page con Elliott Gould e Angela Lansbury resta impressa l’ambientazione nella Germania dell’agosto 1939, alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale: il complotto al centro del film acquista le fosche tinte del regime nazista.

GIUDIZIO: ***½

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI

1843: sono passati solo quattro anni dall’inaugurazione in Italia della prima tratta ferroviaria, la Napoli-Portici. Nello Stato Pontificio papa Gregorio XVI non manca occasione per esprimere la propria contrarietà nei confronti dei treni: simbolo del progresso, altro non sono che una diavoleria, nel senso letterale del termine, ossia una manifestazione del demonio. Sono, curiosamente, le stesse ragioni che, una ventina d’anni più tardi, porteranno invece l’anticlericale Giosuè Carducci a esaltare il treno nel suo inno A Satana (“Un bello e orribile | Mostro si sferra, | Corre gli oceani, | Corre la terra”), salvo ritrattare il tutto, qualche tempo dopo, in un’altra sua poesia, Alla stazione in una mattina d’autunno, dove il treno diventa un “empio mostro” in quanto colpevole di portare via la donna amata. Tornando a Gregorio XVI, la sua avversione per i treni trova riscontro in un sonetto, Le carrozze a vvapore, di Giuseppe Gioachino Belli: non è da credersi che il poeta, che ai papi non ha mai risparmiato ferocissime critiche, sia d’accordo con il pontefice, ma piuttosto che ne riporti, per il tramite dalla vox populi, il punto di vista, del quale anzi finisce per rivelare la rozzezza (basti dire che il treno è ribattezzato “frullone”, nome di una specie di calesse a quattro ruote):

Che nnaturale! naturale un cavolo.
Ma ppò èsse un affetto naturale
volà un frullone com’avesse l’ale?
Cqui cc’entra er patto tascito cor diavolo.
Dunque mó ha da fà ppiú cquarche bbucale
d’acqua che ssei cavalli, eh sor don Pavolo?
Pe mmé ccome l’intenno ve la scavolo:
st’invenzione è ttutt’opera infernale.
Da sí cche ppoco ce se crede (dímo
la santa verità) ’ggni ggiorno o ddua
ne sentimo una nova, ne sentimo.
Sí, ccosa bbona, sí: bbona la bbua.
Si ffussi bbona, er Papa saría er primo
de mette ste carrozze a ccasa sua.

Se, come detto, Carducci malediceva il treno che si portava via l’amata (“Ahi, la bianca faccia e ‘l bel velo | salutando scompar ne la tenebra”) e la stazione diventava così luogo di malinconie inconsolabili (“io voglio io voglio adagiarmi | in un tedio che duri infinito”), anche per Eugenio Montale la stazione è motivo di ricordi penosi, alimentati in questo caso dal pensiero delle tante occasioni passate ad aspettare il treno della moglie; dopo la sua morte, la realtà di quelle comuni esperienze vive solo nella memoria e nell’inconscio:

Quante volte t’ho atteso alla stazione
nel freddo, nella nebbia. Passeggiavo
tossicchiando, comprando giornali innominabili,
fumando Giuba poi soppresse dal ministro
dei tabacchi, il balordo!
Forse un treno sbagliato, un doppione oppure una
sottrazione. Scrutavo le carriole
dei facchini se mai ci fosse dentro
il tuo bagaglio, e tu dietro, in ritardo.
poi apparivi, ultima. È un ricordo
tra tanti altri. Nel sogno mi perseguita.

Testi citati
Giuseppe Gioachino Belli – LE CARROZZE A VVAPORE (1843)
Eugenio Montale – QUANTE VOLTE T’HO ATTESO ALLA STAZIONE, in “Satura” (1971)