# 200 – Robert Musil – L’UOMO SENZA QUALITÀ (Einaudi, 2010, ediz. orig. 1930-1943, due volumi, pagg. 1.780)
Vienna, agosto 1913: l’Europa è sull’orlo della guerra ma non lo sa, e ancor meno se ne rende conto quella incredibile, meravigliosa, avveniristica e allo stesso tempo antica, decrepita Nazione che fu l’Austria-Ungheria, governata da un vecchissimo Imperatore salito al trono nel lontano 1848 e famosa nel mondo per le sue torte al cioccolato e per i valzer viennesi, nonché per la raffinatezza di una cultura composita, figlia di undici nazionalità raccolte sotto un’unica bandiera (o forse due…). Ulrich (il cognome non viene mai svelato, “per riguardo al padre”), matematico poco più che trentenne, viene coinvolto dal conte Leinsdorf – alto funzionario di Corte – in un’impresa che ha dell’incredibile: organizzare, dopo attenti sondaggi, un grande Giubileo per celebrare i 70 anni di regno di Francesco Giuseppe (che sarebbero caduti nel 1918). Battezzata “Azione Parallela” (in quanto, nel 1918, si sarebbero celebrati anche i 30 anni di regno dell’Imperatore di Prussia Guglielmo II), questa complessa operazione prende avvio con lunghi colloqui e incontri con personaggi eminenti nel mondo delle arti e della filosofia, perché in fondo si tratta di capire su quali elementi culturali e artistici incentrare le celebrazioni; ma ben presto l’Azione Parallela diventa una sotterranea “gara” tra Austria-Ungheria e Prussia, le due grandi anime della Mitteleuropa, le eredi di quello che fu il Sacro Romano Impero. Questa complessa partita a scacchi vede da una parte l’intelligente, raffinato ma anche irresoluto Ulrich, che “dissolve ogni decisione in lucida ironia”, e dall’altra l’ambiguo filosofo e uomo d’affari Paul Arnheim, prussiano ben introdotto che – ispirato alla figura storica di Walther Rathenau – tiene testa al matematico viennese. Teatro degli “incontri”, il salotto di Ermelinda Tuzzi detta “Diotima”, donna di grande fascino e raffinatezza, moglie di un medio funzionario asburgico, corteggiata tanto da Ulrich quanto da Arnheim. Tutto potrebbe continuare così all’infinito, tra considerazioni filosofiche e disquisizioni storiche, se non entrasse in scena, a un certo punto, la “sorella dimenticata” di Ulrich, Agathe, e se sullo sfondo di questo appassionante match di pensatori non facesse capolino, inquietante e maestosa, la figura di Christian Moosbrugger, assassino seriale di prostitute sotto processo, che Ulrich si mette in testa di salvare dalla forca…
Ho fatto del mio meglio ma, come avrete perfettamente intuito, non è possibile riassumere “L’uomo senza qualità”. Smisurato romanzo di una vita, che impegnò Musil fino al giorno della morte, nel 1942, e che rimase ciononostante incompiuto, questo affascinante libro racchiude nelle sue elegantissime pagine, nelle sue cesellate formulazioni tutta l’ambizione musiliana di raccontare il mondo con la maggiore esattezza possibile, come se la scrittura diventasse una complicatissima equazione matematica che di ogni cosa restituisce il senso ultimo, scarnificato e preciso, irriducibile. Sfida immane, che Musil vinse – senza dubbio – sul piano dello stile e della riuscita narrativa (il libro è semplicemente ineguagliabile per arguzia, profondità e precisione della scrittura), non sul piano della compiutezza, purtroppo: il romanzo si interrompe a un certo punto nella terza parte (“Verso il Regno Millenario”), e manca tutta la quarta, che verosimilmente si sarebbe dovuta intitolare – specularmente alla prima – “Una specie di conclusione”. Ma la prima e la seconda complete sono più che sufficienti a fare de “L’uomo senza qualità” un capolavoro assoluto, uno di quei libri che cambiano per sempre chi li legge, creando uno spartiacque nella vita dei lettori e arricchendone l’anima in maniera incommensurabile.
Certo, la lettura richiede tempo e pazienza, e soprattutto una sana propensione al leggere per il puro piacere di leggere, senza il comodo appiglio di una trama che, perlopiù, non procede neanche di un centimetro, l’Azione Parallela essendo nient’altro che un groviglio di discussioni e battibecchi, di incontri e scontri, di accordi e disaccordi, come un immenso giro di valzer in cui ci si scambia continuamente il compagno o la compagna, mescolando le coppie per verificare una sorta di proprietà commutativa che si estende a tutta l’Austria-Ungheria (ironicamente chiamata “Cacania” da Musil, da “K. und K.”, Kaiserlich-Königlich, Imperial-Regio, che si legge… Ka-Ka!), o forse persino a tutto il mondo, a tutta la società umana d’inizio XX secolo, illusa di poter contare su certezze granitiche (le Monarchie, l’ordine sociale) che di lì a poco si sarebbero sgretolate con la guerra mondiale.
Straordinario affresco di una crisi latente ma pronta ad esplodere, “L’uomo senza qualità” va messo senza indugio sullo stesso livello della “Recherche” proustiana, ferme restando le ovvie differenze stilistiche: i due capolavori, però, concorrono in egual maniera (e, a mio avviso, anche più del sopravvalutato “Ulisse” di Joyce) a scardinare la struttura del romanzo ottocentesco, del romanzo “classico”, in favore di un procedere ondivago e irresoluto (perché non esiste più una “soluzione”) del racconto. Il Novecento è, in letteratura, il secolo della dissoluzione della trama, e della contaminazione tra narrativa e saggistica (Musil non a caso parlava di “saggismo” riferendosi alla sua opera capitale). E così, se la “Recherche” è il trionfo dell’osmosi tra vita e racconto, tra ricordo e narrazione, “L’uomo senza qualità” è il trionfo della permeabilità tra saggio e narrativa, tra lambiccata speculazione e limpida affabulazione. Nell’illuminante introduzione di Bianca Cetti Marinoni alla storica edizione Einaudi del libro (con la splendida traduzione di Anita Rho) leggiamo che “vivere «saggisticamente» significa dunque per Musil sottrarsi alla pretesa del reale di porsi come immutabile e di imporre i suoi valori come univocamente definiti.”
Ecco perché “L’uomo senza qualità” è un libro in cui tutto è semplicemente indecidibile: Ulrich non prende mai alcuna reale decisione, si limita a seguire la lenta corrente dell’Azione Parallela, che va ovunque e da nessuna parte (come la Cacania, del resto), e attorno a lui, sorta di perno immobile, roteano personaggi cesellati da Musil con immensa sapienza: la coppia di amici Walter e Clarisse, nevrotici e a loro volta irrisolti; il banchiere Leo Fischel, campione di un modo di pensare tutto economico e allineato; il funzionario ministeriale Tuzzi, tetragono e sospettoso di ogni cedimento alla speculazione pura; e soprattutto lo straordinario generale Stumm von Bordwehr, sorta di padrino di Ulrich, mente spartana e militare, allo stesso tempo attratto e spaventato dalla “tempesta di cervelli” e di idee che si sta coagulando attorno al salotto di casa Tuzzi. In questo crogiolo ribollente, a Musil interessava perlopiù cogliere – come ebbe a dire nel 1926 a Oskar Maurus Fontana in una celeberrima intervista – “lo spiritualmente tipico, la dimensione spettrale dell’accadere.” Non, dunque, i dati di un reale cangiante e inafferrabile, quanto piuttosto il senso profondo (immutabile) di un’intera epoca è l’oggetto di studio de “L’uomo senza qualità”, romanzo la cui materia – a detta del suo stesso Autore – “si espande in maniera atemporale” e in cui “la storia che in esso si dovrebbe raccontare non viene raccontata.” E non viene raccontata – aggiungo io – perché non può essere raccontata: romanzo della crisi quant’altri mai, “L’uomo senza qualità” trova nella sua stessa incompiutezza la propria caratteristica saliente – o perlomeno una delle sue caratteristiche salienti.
Infatti, come potrebbe mai concludersi una trama che non è neppure mai realmente iniziata? Come potrebbe arrivare alla fine un romanzo basato sulla continua geminazione e proliferazione delle idee e dei pensieri, costruito sugli echi tra le parole e i concetti, sui rispecchiamenti (a tratti evidenti, altre volte appena suggeriti) tra i personaggi e le ossessioni? Infatti, come osserva Bianca Cetti Marinoni a proposito dell’edizione Einaudi che raccoglie anche le tante pagine inedite e gli abbozzi della terza parte del romanzo, “l’unica cosa che gli inediti dimostrano è che L’uomo senza qualità esclude l’idea stessa di conclusione e si propone come opera strutturalmente aperta.” Diversissimo, in questo, dalla “Recherche” – di cui, com’è noto, Marcel Proust scrisse molto presto l’ultima pagina, allungando poi a dismisura la distanza tra essa e la prima, ma non toccando più, essenzialmente, il punto d’arrivo della sua immensa Cattedrale – “L’uomo senza qualità” è per eccellenza il romanzo della forma negata, il racconto fluviale che non può avere fine, che si muoverà per sempre “verso” quel regno millenario alla cui celebrazione purtroppo non si è mai pervenuti, spazzato via dalla Guerra mondiale assieme a tutto un mondo che lo stesso Musil non ha mai fatto mistero di rimpiangere amaramente, conscio del fatto che nella “sua” Cacania, “nazione incompresa e ormai scomparsa che in tante cose fu un modello non abbastanza apprezzato, […] un genio era sempre scambiato per un babbeo, mai però, come succedeva altrove, un babbeo per un genio.”
Commovente modello di un’Europa Unita mai realizzatasi (quella di oggi non ne è che la grottesca caricatura nella quale, non a caso, qualunque babbeo viene regolarmente scambiato per un genio, e i genî veri sono incompresi), l’Austria-Ungheria, la tanto vituperata Duplice Monarchia, è la vera protagonista di questo mirabolante viaggio nello Spirito, con tutte le sue sfaccettature e le sue capziosità, con la sua inconsapevole leggerezza e la sua dolcissima, e frustrata, joie de vivre.
(Recensione scritta ascoltando Johann Strauss, “Sul bel Danubio blu”)
PREGI:
un’incredibile profondità di riflessione, e una sospensione magica tra narrativa pura e filosofia fanno di questo libro (ancorché incompiuto) un capolavoro inarrivabile, una lettura che richiede pazienza ma che regala pagine indimenticabili e un piacere unico
DIFETTI:
nessuno, a patto che il lettore sia disposto a perdersi in elucubrazioni che vanno dalla gradazione di rosso attribuibile al naso di un ubriacone fino alle riflessioni su storia, economia e Spirito
CITAZIONE:
“Ulrich pensò: se l’umanità fosse capace di fare un sogno collettivo, sognerebbe Moosbrugger.” (pag. 83)
GIUDIZIO SINTETICO: ****
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…