STANZA 411 – Simona Vinci

# 381 – Simona Vinci – STANZA 411 (Einaudi, 2006, pagg. 121)

Una donna, sola in una stanza d’albergo a Roma (la stanza 411 del titolo, ovviamente), scrive una lunga lettera e rievoca il rapporto sentimentale intrattenuto con un uomo conosciuto online e incontrato grazie a una delle tante app di incontri che vanno per la maggiore oggidì.
Nonostante la disillusione di entrambi, reduci da diverse delusioni sentimentali e – forse – addirittura da matrimoni falliti, la relazione sembra sbocciare e vivere di vita propria, insomma, i due protagonisti sembrano innamorarsi sinceramente.
Ma poi subentrano le inevitabili logiche di potere che già Rainer Werner Fassbinder raccontava tanto bene nel suo cinema (e parliamo degli anni ’60 e ’70!) e la coppia entra in crisi.
Come uscirne? Ed esiste una via d’uscita, oppure ogni rapporto sentimentale è destinato ad atrofizzarsi, e l’amore deve per forza decadere in rancore, risentimento e odio?
Ma soprattutto: cos’è successo nella stanza 411?

Scrittrice nota ai più per un unico successo (difficilmente spiegabile), datato 1997, dal titolo “Dei bambini non si sa niente”, Simona Vinci con questo “Stanza 411” propone il classico libriccino “alimentare”, nel senso che si tratta di una novelletta pubblicata più che altro per insistenze editoriali, per cavalcare il precedente successo, per mandare qualcosa sugli scaffali delle librerie. E infatti la consistenza del libro è praticamente pari a zero, eccezion fatta per alcune colte citazioni che l’Autrice si concede per far vedere che la sua scrittura non è fatta d’aria, ma di letture serie e di studi approfonditi. Fatica inutile perché il libro, a livello di trama, è piatto come pochi altri, privo di qualunque colpo di scena, monotono e piagnucoloso nel tono, ma soprattutto – e questo è il peccato capitale – completamente privo di un finale degno di questo nome. Insomma, un libro che non approda a nulla e, anche ammettendo che questo “effetto” fosse voluto e cercato dall’Autrice, non lo si può comunque perdonare, perché è una scelta a perdere che delude anche il lettore meno carico di pretese e di aspettative. Io stesso non mi sono avvicinato a questa lettura pensando di incappare in chissà quale capolavoro. Perlomeno, però, mi aspettavo una novella sentimentale onesta e magari attraversata da qualche brivido, non proprio un giallo ma – chissà – almeno un piccolo torbido noir, o una sapida black comedy.

Nulla di tutto questo: “Stanza 411” è, semplicemente, un libro scritto correttamente, senza sfondoni né sbavature, ma del tutto insipido, capace di seminare indizi e false piste che, però, non portano a nulla, anzi, che non avviano neppure una storia propriamente detta, contentandosi di far galleggiare la protagonista e narratrice in uno stagno di risentimenti e lamentationes oggettivamente futili, che non prendono mai il volo verso un significato o una dimensione metaforica.

Racconto obiettivo e piatto di una relazione sentimentale tra due persone adulte entrambe a loro modo segnate dalla vita e complessate, “Stanza 411” si lascia leggere ma non lascia segni, e illude sistematicamente il lettore lasciando intravedere possibili sviluppi che non si realizzano mai: lui potrebbe celare qualche segreto inconfessabile? Lei forse racconta la storia da una condizione particolare, dopo che ha subito un’aggressione o un incidente? Ci sarà uno svelamento finale che lascia a bocca aperta? No, ovviamente: al lettore deve bastare, stando alla quarta di copertina di Einaudi, “una storia d’amore che è la storia di tutte le storie d’amore.”  Ah, beh, se è così, allora chiunque, forse, può davvero scrivere un romanzo.

Peccato, perché la qualità della scrittura, in sé, non è malvagia, nonostante una paratassi a tratti eccessiva, con frasi brevi, brevissime, che si susseguono a mitraglia, e con capitoli asciutti e insoddisfacenti quanto una pietanza servita in porzioni ridicole da un ristorante che pratichi la giustamente vituperata nouvelle cuisine, che ormai, a ben vedere, è roba vecchia, come è già vecchio anche questo romanzetto sull’amore tra un uomo e une donna e su cosa significhi essere una donna che vive da sola e cerca avventure sentimentali in rete.

Mi spiace, ma di fronte a queste “trame” il primo pensiero che mi attraversa è: che palle. Poi il libro lo leggo lo stesso, perché non mi permetto mai di giudicare nessuno senza averlo letto accuratamente, e a tutti – Autori e Autrici – concedo l’opportunità di stupirmi, di farmi cambiare idea, di smentirmi e sbugiardarmi. In questo caso, purtroppo, per Simona Vinci la missione non è compiuta, il libro è esattamente quel che temevo fosse: un raccontino insipido ingiustamente portato in palmo di mano da un’editoria che ha perso la bussola non già morale (perché cos’è la morale in narrativa o, più estesamente, nell’arte?) quanto piuttosto stilistica e contenutistica.        

(Recensione scritta ascoltando Dido, “Here with Me”)

PREGI:
la brevità, anzitutto. Meno male che una vicenda così sfilacciata, che non decolla mai e che non ha un punto d’approdo, almeno è trattata in breve! In secondo luogo, la scrittura, presa in sé, accantonando per un attimo contenuti e arco narrativo, regala qualche tocco interessante, purtroppo non supportato dalla trama

DIFETTI:
anche qui, purtroppo, tocca indicare… la brevità! Perché la fretta di finire “il nuovo romanzo” da mandare agli affamati editor di Einaudi è evidente, e non ha permesso all’Autrice di ponderare meglio la materia e proporre, magari, qualcosa i più interessante e compiuto. Inesistente il finale, da antologia del nonsense e dell’autolesionismo l’incipit, che riporto nella citazione, qui sotto

CITAZIONE:
“Questo scritto ti dispiacerà da subito. Dall’inizio, provocherà in te irritazione. Ti disturberà. Dovrai leggerlo fino in fondo lo stesso. Perché dice la verità. Certo, è una verità che appartiene a me, ma in un certo senso ogni verità appartiene a chiunque, una volta pronunciata.” (pag. 5)

GIUDIZIO SINTETICO:

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
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***1/2
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ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO