# 102 – James G. Ballard – TERRA BRUCIATA (Mondadori, 1989, ediz. orig. 1965, pagg. 231)
In un mondo attanagliato da una mostruosa siccità, in cui fiumi e laghi si prosciugano a velocità vertiginosa e il mare retrocede, lasciando immense e sterili saline al posto delle spiagge, il dottor Charles Ransom guida un gruppetto di fuggiaschi verso una delle ultime spiagge ancora occupabili, nella speranza di sopravvivere desalinizzando l’acqua marina per renderla potabile. In un panorama sconvolto dalla sete e dall’esodo in massa della popolazione, però, a trionfare è solo la violenza. Riprenderà mai a piovere?
Direi che, dopo aver recensito “Crash” e “La mostra delle atrocità”, è abbastanza evidente che io consideri James Ballard un grande scrittore, di sicuro tra i più importanti del ‘900, per la capacità che ha dimostrato di anticipare temi e tempi. Ciò detto, occorre fare – all’interno della sua vasta produzione – alcune distinzioni, e una in particolare: fino alla “Mostra delle atrocità” (1970), Ballard era un interessante scrittore di fantascienza con una spiccata propensione per il catastrofismo.
I suoi quattro romanzi dedicati, negli anni ’60, al pervertimento degli elementi fondamentali (terra-aria-acqua-fuoco) sono dei gioiellini se paragonati a tanta fantascienza coeva, che non andava al di là del classico “bug-eye monster” o dell’invasione aliena, più o meno plausibile.
E, purtuttavia, scompaiono quasi se paragonati al Ballard successivo alla “Mostra delle atrocità”, vero punto di svolta nella carriera dello scrittore, condensato concettuale di tutte le sue ossessioni e di tutti i temi che, in modo più magmatico, già vengono preannunciati dai romanzi precedenti e dai tanti racconti che, negli anni ’60, egli pubblicò sulle riviste di settore. Intendiamoci: non si tratta di brutti romanzi. Non è che Ballard non sapesse scrivere prima di pubblicare “La mostra delle atrocità”, anzi, molti suoi racconti precedenti sono straordinari; il punto è proprio questo, però: ho l’impressione che il Ballard pre-1970 fosse più uno scrittore da racconto che da romanzo. Già quello che a mio avviso è il più valido tra i quattro libri sopra citati, quel “Mondo sommerso” (1962) che immaginava il globo terrestre completamente coperto dalle acque (con un certo anticipo su film come “Waterworld”, vi pare?), è un discreto romanzo e niente più. Questo “Terra bruciata” si colloca, per stile ed efficacia narrativa, appena al di sotto. Vediamo perché.
La trama in sé è piuttosto avvincente, ricorda un “Mad Max” o qualcosa di simile: il mondo ridotto a deserto, drappelli di disperati che scappano verso il mare – dove peraltro la salvezza non è affatto garantita – in un panorama sconvolto dagli incendi continui e dalla violenza interna, dove per una tanica d’acqua si può arrivare a uccidere. Il problema è che Ballard appare drammaticamente incerto sulla tipologia di libro che vuole scrivere! Da una parte, ci propone un grande classico della fantascienza distopica, col mondo devastato e gli uomini intenti a lottare per la sopravvivenza; dall’altra, inserisce continui abbozzi di quello stile che maturerà, appunto, solo nel 1970, e che qui vive soltanto in frammenti bellissimi ma un po’ slegati, immersi peraltro in un modo di raccontare a tratti fin troppo ellittico, che non facilita certo la comprensione della storia. I personaggi si accavallano e si scavalcano, in una sarabanda di perfidie e prevaricazioni che appaiono francamente un po’ datate (si pensi al personaggio di Richard Lomax, megalomane ed effeminato architetto che si picca di controllare tutta l’acqua residua della regione: quasi un “cattivo” alla James Bond!).
Insomma, “Terra bruciata” è affascinante nelle premesse ma arduo nello sviluppo, e presenta – incastonate qua e là – delle autentiche perle che preannunciano il Ballard futuro, avendo già letto il quale, però, non si riesce a gustare appieno il dipanarsi di un romanzo un po’ inconcludente e a tratti ripetitivo. Certo, alcuni tocchi e alcuni sviluppi di trama sono notevoli, come l’idea di far passare dieci anni tra la prima e la seconda parte del libro; ma troppo spesso la lettura si incaglia un po’ in visioni tanto apocalittiche (nelle intenzioni) quanto poco comprensibili (nella riuscita sulla pagina). Valide palestre per la costruzione di quello che sarebbe stato l’Inner Space, i romanzi ballardiani anni ’60 condividono un po’ tutti gli stessi pregi e gli stessi difetti. Il che, in ogni caso, non vuol dire che non sia importante riscoprirli e rileggerli.
(Recensione scritta ascoltando Angelo Badalamenti, “Laurens, Iowa” – dalla colonna sonora di “Straight Story”)
PREGI:
“Terra bruciata”, più che un romanzo sulla siccità o sull’acqua, ha l’ambizione di essere un libro sul Tempo, inteso come dimensione assoluta, da ripensare completamente, un Tempo interiore che il paesaggio esterno si limita a rappresentare e oggettualizzare: in questo, si intravvede già il miglior Ballard
DIFETTI:
le ambizioni ci sono, ma la loro realizzazione effettiva è ancora lontana! La trama è un po’ lenta a dipanarsi, e tutta la prima parte si configura quasi come un buffo andirivieni di personaggi uno più improbabile dell’altro! Meglio seconda e terza parte, più incisive.
CITAZIONE:
“Durante il loro viaggio verso sud aveva incominciato a provare un sempre maggiore senso di vuoto, come se stesse seguendo un impulso archetipale che ormai non aveva più alcun reale significato per lui. Le quattro persone che lo accompagnavano diventavano sempre più simili a ombre, residui di loro stessi, non meno fittizi del fiume vuoto.” (pag. 117)
GIUDIZIO SINTETICO: **
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il “sistema Mereghetti”, che va da 0 a 4 “stelline”: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…