# 301 – Guido Morselli – UN DRAMMA BORGHESE (Adelphi, 1992, ediz. orig. 1978, pagg. 293)
Cresciuta in collegio in seguito alla morte della madre, Mimmina è una ragazza di diciotto anni che per la prima volta si ritrova sola con il padre, colto, disincantato e riflessivo giornalista, corrispondente da Bonn per un importante quotidiano italiano. In vacanza per la prima volta assieme in un residence sul lago di Lugano, Mimmina e suo padre devono anzitutto conoscersi: se lui è taciturno e meditabondo, ed esprime il suo affetto tramite gesti sottili e appena accennati, lei – inesperta della vita ma desiderosa di immergervisi – è (involontariamente?) provocatoria ed enigmatica, ambigua e determinata a conquistare il genitore, assumendo su di sé non solo il ruolo di figlia ritrovata, ma anche quello di moglie premurosa. E così l’uomo, nel tentativo di sfuggire alla non troppo velata ombra d’incesto che si disegna sulla loro convivenza, rivolgerà altrove le sue attenzioni, non accorgendosi (o non volendo prendere atto) del dramma in corso.
Pubblicato postumo, come quasi tutte le sue opere, questo romanzo di Guido Morselli, narrato in prima persona dal protagonista e al tempo presente, è uno spaccato di vita di coppia, anche se si tratta di una coppia anticonvenzionale: un padre e una figlia legati da un affetto che ha qualcosa di strano, che trascende decisamente il rapporto genitore-figlio per avventurarsi in territori innominabili. Trattandosi di Morselli, però, non c’è nulla di troppo esplicito nelle pagine di un libro che si connota soprattutto per lo stile, al solito levigato e curatissimo, controllato in ogni minima sfumatura, in ogni gesto e in ogni minuscola espressione dei due protagonisti.
Il grande scrittore varesino – morto suicida nel 1973, dopo essere stato respinto da tutte le case editrici – dà prova ancora una volta di una capacità non comune di tratteggiare caratteri e situazioni disturbanti in modo apparentemente delicato e lieve. In realtà, “Un dramma borghese” è uno dei suoi romanzi più densi di sottotesti e allusioni: ambientato, in pratica, in un’unica location, un residence sul lago di Lugano, e addirittura quasi in un’unica stanza, quella occupata da Mimmina e da suo padre che, malati all’inizio del libro, passano molto tempo in camera, a pensare e parlare, il romanzo vive però anche di folgoranti squarci sul passato del protagonista, e si apre, non a caso, con una fiammeggiante scena di guerra ambientata nell’agosto del 1943, durante la risalita degli Alleati dalla Sicilia verso il Nord Italia. E vive, soprattutto, della delicata e un po’ ondivaga descrizione del rapporto tra quest’uomo dal passato irrisolto, completamente votato alla carriera lavorativa ma attraversato anche da tensioni e insoddisfazioni profonde, che riflettono con tutta evidenza quelle dell’Autore, e la figlia mai conosciuta, messa in collegio da piccola per via della morte della madre e “riscoperta” solo a diciotto anni.
Mimmina è una figura quasi da Scapigliatura, che non stonerebbe in un romanzo di Ugo Tarchetti o di Carlo Dossi, ma neanche in un’opera di Svevo, se è per questo. Sensuale suo malgrado, anche solo per l’età che ha, è un personaggio dalle potenzialità dirompenti che Morselli è molto bravo a tenere sotto controllo, forse troppo, perché il principale difetto del romanzo è proprio un eccesso di understatement, una freddezza di fondo che se da una parte impedisce che la materia – di per sé incandescente – del racconto prenda il sopravvento e si mangi tutto, stile e forma compresi, dall’altra parte “ammazza” un po’ la verve della narrazione, e affossa tutto in una riflessività perturbante ma gelida, ammiccante ma sempre a solo allusiva, mai dirompente.
E così, se lo spaccato psicologico e il lavoro sui personaggi sono magistrali, non lo stesso si può dire dello sviluppo della trama, che resta impigliata nell’approfondimento delle intenzioni, nel non-detto e nel non-fatto, e il risultato è un libro fatalmente un po’ scostante, molto lento e quasi privo di svolte e di accadimenti. Peraltro, il tentativo del padre di sottrarsi al soffocante per quanto garbato amore di Mimmina volgendo le proprie attenzioni su un’amica della figlia stessa è oggettivamente un po’ goffo e improbabile, e fa da preludio a un dramma che, per quanto ben descritto, non accende mai nel lettore un’autentica suspense, né una partecipazione emotiva così profonda da portarlo a condividere empaticamente le pene dei personaggi. Bello ma terribilmente distaccato e rarefatto, come un quadro enigmatico che si ammira pur non comprendendone appieno il significato, “Un dramma borghese” è un’ulteriore conferma della maestria di Guido Morselli e, anche se non si può, onestamente, gridare al capolavoro, resta una lettura intensa e inquietante, un po’ troppo compassata, forse, ma mai banale e, soprattutto, lessicalmente e sintatticamente di primo livello.
(Recensione scritta ascoltando Franz Schubert, “Sonata per pianoforte n. 21 in Si bemolle maggiore” – D.960)
PREGI:
stilisticamente, Morselli non delude mai, e il romanzo è un magistrale scavo psicologico che non scade mai nel triviale o nel pruriginoso, merito non da poco vista la trama e il rischio insito nel voler raccontare un “tentativo d’incesto”
DIFETTI:
soprattutto nella parte centrale, il racconto si arrotola su sé stesso e sembra non procedere, nonostante l’abilità dell’Autore nel tracciare caratteri e particolarità dei personaggi. Molto lento e puntiglioso, è un racconto oggettivamente un po’ datato, interessante ma troppo controllato e meno dirompente di altre opere dello stesso Autore
CITAZIONE:
«Ti ho spiegato che là, a Bonn, non ho una casa. Vivo in una pensione. Bisognerà prima o dopo che mi decida a metter su casa. Trovarne una, che non è facile, poi mobiliarla di sana pianta. Andare a prendere vecchi mobili che ho a Gubbio, in Italia. Non sarebbe una faccenda da poco.» Come avevo immaginato, questo discorso la rianima. Eccola divenuta la mia fidanzata, alla vigilia delle nozze. «Che gioia, che bellezza. Cercarci una casina tutta per noi» – eccetera. Si infervora, viene a sussurrarmi una parola all’orecchio. «Non devi chiamarmi per nome. Sono il papà.» «Ma perché vuoi essere soltanto questo?» (pag. 76)
GIUDIZIO SINTETICO: **½
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…