# 148 – Murakami Haruki – UOMINI SENZA DONNE (Einaudi, 2015, pagg. 222)
Sette racconti accomunati dalla presenza/assenza del femminile. In “Drive my car” un attore cui è stata sospesa la patente assume una enigmatica autista cui racconterà il suo rapporto con la moglie (morta) e con un amante di lei; in “Yesterday”, l’amicizia tra due studenti universitari dai caratteri molto diversi si interrompe per via di una ragazza… troppo bella per entrambi! In “Organo indipendente” uno scrittore racconta la storia di un chirurgo estetico amante delle donne alle prese col primo, vero amore; in “Shahrazād” gli amplessi, freddi e distaccati, tra una donna e un uomo che non può uscire di casa vengono “riscaldati” dai racconti affabulatori di lei; in “Kino” un uomo, tradito dalla moglie, molla tutto e apre un bar, ma presto iniziano ad accadere strani eventi… In “Samsa innamorato”, uno scarafaggio si sveglia e scopre di essere diventato… Gregor Samsa! Infine, in “Uomini senza donne”, la telefonata nel cuore della notte che lo avvisa del suicidio di una sua ex-fidanzata costringe un uomo a interrogarsi non solo su quella lontana storia d’amore, ma sul significato di ogni storia d’amore…
Lettura iniziata un po’ in sordina, quasi come “riempitivo” tra un romanzo e l’altro, “Uomini senza donne”, pagina dopo pagina, non ha solo catturato il mio interesse, ma si è imposto come uno dei migliori libri in assoluto di quell’Autore disteso e prolifico che è Murakami Haruki. Insomma, questi sette racconti incentrati sul rapporto tra uomini e donne e, soprattutto, sull’importanza del femminile (importanza della quale spesso ci rendiamo conto solo quando l’abbiamo perduto), sono una vera sorpresa! Meravigliosamente scritti, lucidissimi e malinconici, non privi di tocchi surreali quanto di improvvisi squarci lirici, questi brevi testi restituiscono forse il miglior Murakami, perché gli impediscono – data la brevità e la pregnanza – di divagare oltremodo o di indulgere troppo (cosa che nei romanzi gli capita spesso) in elementi fantastici e sospensioni della narrazione.
Costretto entro i limiti del racconto, lo stile murakamiano brilla finalmente in tutta la sua semplice profondità, nel suo ammirevole nitore: ogni parola significa esattamente ciò che vuole dire e, allo stesso tempo, sembra caricata di ulteriori, profondi significati, come se ogni frase fosse in realtà la chiave per un altro mondo, e il disvelamento dell’enigma dell’esistenza (uno dei grandi temi di Murakami) fosse ora realmente possibile, tanto che, leggendo, ci pare di intravederlo, lì, appena dietro le parole, basta lasciare agire la scrittura, col suo ritmo dolce, col suo incedere delicato, da felino. Se in molti romanzi dello scrittore giapponese si finisce avvolti dalla scrittura e imprigionati in un enigma che, per quanto ben architettato, non riesce mai a evitare di mostrare anche un filo di programmaticità, nei racconti di “Uomini senza donne” si sprofonda con un piacere moltiplicato dalla splendida chiarezza della scrittura, e dalla lucidità degli assunti.
Dal trattenuto dramma di “Drive my car”, in cui un attore rimasto vedovo accetta di diventare amico dell’uomo con cui sua moglie lo tradiva, pur di poter parlare di lei e farla “vivere” ancora, al baratro sentimentale di “Organo indipendente”, beffardo e terribile per come descrive il declino di un dongiovanni che si credeva immune al demone del femminile; dall’enigmatica malinconia di “Shahrazād”, straordinaria rievocazione di un amore adolescenziale, alla strana cupezza venata di surrealismo di “Kino”, che sembra contenere anche qualche blando tratto autobiografico… E ancora, alla divertita guasconeria di “Yesterday” (che si conclude però, ancora una volta, con un riuscito tocco malinconico) fa da contraltare la sorda disperazione di “Uomini senza donne”, nel quale la trama quasi svanisce, come una nebbia sottile, e lascia il posto alla riflessione sulle donne della nostra vita, su come siano passate lasciando tracce profonde, tracce che forse non avremmo mai creduto possibili, un po’ come il Tempo… E che dire di quella “variazione su tema kafkiano” rappresentata da “Samsa innamorato”? Certo il più “intellettualista” dei racconti, capace però – ancora una volta – di mettere l’amore, e le donne, al centro della narrazione in maniera semplice, garbata, profonda. Insomma, sette splendidi racconti tra i quali è difficile scegliere il migliore (io, per un puro discorso di gusti, opto per il misterioso e sospeso “Shahrazād”), sette viaggi in un femminile perduto che, compiuti con la giusta disposizione d’animo, accarezzano il cuore e la mente, e fanno pensare, senza remore, a un grande scrittore.
(Recensione scritta ascoltando Nils Frahm, “Atomos VII” da “A Winged Victory for the Sullen”)
PREGI:
perfetti nel disegnare l’arco narrativo e tematico, questi sette racconti svelano un Murakami più bravo a gestire la scrittura breve che quella lunga e distesa. Pur non rinunciando ai suoi stilemi “classici”, l’Autore giapponese trova una nuova via per arrivare al lettore e disegna sette parabole amorose tristi e melanconiche ma anche incredibilmente vitali e dinamiche. Oltretutto, la diversificazione di ambienti, personaggi e tipologie delle vicende garantisce una certa freschezza a tutta la raccolta
DIFETTI:
aiutato dalla brevitas della forma-racconto, il buon Murakami non fa in tempo a infilare i suoi “soliti” difetti: eccessi di surrealismo, atmosfere rarefatte e cerchi che non si chiudono. In “Kino”, per la verità, si intravede un pizzico del “solito” Murakami, ammiccante e un po’ irrisolto, e forse “Samsa innamorato” pecca leggermente di intellettualismo, ma suvvia, sono peccati veniali che non intaccano la brillantezza di una silloge che dice cose per niente banali sulla vita e sull’amore, sugli uomini e sulle donne
CITAZIONE:
“Probabilmente un giorno, anzi, «sicuramente un giorno» sarebbe arrivato l’annuncio che tutto era finito. […] Oppure gli sarebbe stata tolta ogni libertà, col risultato che avrebbe perso non solo Shahrazād ma tutte le donne. […] Ma la prospettiva davvero insopportabile per lui, più che la preclusione dell’atto sessuale in sé, era di non poter più passare insieme a loro momenti di intimità. Perdere le donne in conclusione significava proprio questo. Perché le donne offrivano un tempo speciale che annullava la realtà, pur restandovi immerse.” (pagg. 140-141)
GIUDIZIO SINTETICO: ***½
LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il ìsistema Mereghettiî, che va da 0 a 4 ìstellineî: a 0, ovviamente, i giudizi pi˘ negativi, a 4 quelli pi˘ positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…