I FIUMI DI PORPORA – Jean-Christophe Grangé

# 306 – Jean-Christophe Grangé – I FIUMI DI PORPORA (Garzanti, 2022, ediz. orig. 1998, pagg. 384)

Allontanato da Parigi in seguito all’eccesso di zelo nel sedare una rissa tra tifosi, che l’ha portato a picchiare a sangue un uomo, il commissario Pierre Niémans – celebre e grintosissimo investigatore della polizia francese – è a un passo dal licenziamento. Per questo i suoi superiori gli assegnano un rognoso caso di omicidio lontano dai riflettori, nella cittadina universitaria di Guernon, sulle Alpi francesi, dove un uomo, il bibliotecario Remy Caillois, è stato trovato su un costone roccioso legato in posizione fetale, ucciso a forza di torture e con gli occhi cavati.
A Sarzac intanto, a trecento chilometri di distanza, il giovane poliziotto d’origine araba Karim Abdouf sta indagando sulla profanazione della tomba di un bambino morto nel 1982, dal curioso nome di Jude Itero. Ma ben presto le due indagini, apparentemente diversissime, finiranno per convergere su un’unica, terribile e allucinante realtà: cosa succede nell’Università di Guernon? Qual è il segreto che da generazioni la piccola città universitaria sembra custodire gelosamente? E cosa c’entra un bambino morto nel 1982 con la catena di delitti che insanguina la valle e che sembra avere nel campus universitario il suo fulcro? Karim e Niémans dovranno dare fondo alle loro risorse per venire a capo dell’enigma.

Fortunato romanzo di un Autore francese di thriller, “I fiumi di porpora” è diventato un film nel 2002 per la regia di Mathieu Kassovitz, con una coppia di attori dall’indubbio carisma: Jean Reno nei panni dell’esperto, grintoso e violento commissario Niémans e Vincent Cassel in quelli del più giovane collega desideroso di mettersi in mostra, che però, nel film, non si chiama Karim Abdouf bensì Max Kerkerian, e non è più di origine araba bensì palesemente armena. Una scelta comprensibile, a livello cinematografico, perché chiedere a Cassel di interpretare un ragazzo arabo con tanto di capigliatura “rasta”, come il Karim del romanzo, non avrebbe avuto alcun senso, e allo stesso modo, puntare su un attore sconosciuto invece che su una delle star francesi del momento (Cassel, appunto) avrebbe ridotto il budget della pellicola.

Nel libro, al contrario, il coprotagonista arabo cresciuto nelle banlieue funziona molto bene e, in generale, l’idea delle indagini parallele che convergono è ben congegnata e portata avanti da Grangé con indubbia maestria. Lo stile, come quasi sempre in libri di questo tipo, non è elevatissimo e predilige la concretezza della narrazione allo svolazzo dell’evocazione; ma, ad onor di Grangé, va detto altresì che non mancano i tocchi d’ambiente riusciti, specie nelle descrizioni dei monti che fanno da corona alla misteriosa (e immaginaria) Università di Guernon, vero e proprio fulcro dell’enigma che accomuna le vittime (a quello del bibliotecario seguono altri cadaveri) di un assassino che, lungi dall’essere un serial killer, sembra invece perseguire un ben chiaro piano di vendetta.

Ora, se il film (giustamente) semplifica molto la trama e la depura da una quantità di false piste, vicoli ciechi, piccole e grandi scoperte, concentrandosi interamente sul climax di tensione dovuto alla catena di delitti, il libro dal canto suo può permettersi una maggiore precisione nel seguire lo sviluppo di indagini poliziesche abbastanza realistiche, forse un po’ troppo compresse temporalmente (in fondo, tre quarti del libro si svolgono in neanche ventiquattr’ore!) ma non campate per aria, anzi, plausibili tanto nelle scoperte quanto nella descrizione delle difficoltà a pervenire alle scoperte stesse.

Libro e film, però, non sono esenti da difetti: se nel film a venire meno è la motivazione dei delitti, spiegata in malo modo giusto nel finale con un colpo di scena piuttosto disonesto, nel libro l’incedere dei due poliziotti verso la soluzione è forse fin troppo cesellato e capzioso, e l’enigma, da un certo punto in poi, non è più così fitto da giustificare la continua dilazione della scoperta finale del colpevole. Fin troppo preciso e documentale, il libro a volte si perde un po’ dietro dettagli minimali ai quali sarebbe forse stata preferibile un pizzico di azione in più.

Emulo discreto di un Thomas Harris, Grangé è uno scrittore tecnicamente capace, e “I fiumi di porpora” è il suo “Silenzio degli innocenti”, è un libro che punta più sulle atmosfere che sulla tensione vera e propria, più sul carattere degli sbirri che sull’azione propriamente detta, con tutti i pro e i contro che una scelta simile porta con sé. Si legge con curiosità e interesse, anche se a volte l’impressione è che l’Autore dosi fin troppo le informazioni e le scoperte, e trascini troppo a lungo un enigma i cui termini di fondo divengono piuttosto chiari quando ancora al finale vero e proprio mancano parecchie pagine. La scarsità di comprimari, poi, rende la rivelazione dell’identità dell’assassino meno “forte” di quanto avrebbe potuto essere, pur senza togliere nulla a una lettura godibile e di buon livello per quanto riguarda le atmosfere e la sottile tensione di fondo.       

(Recensione scritta ascoltando i Pink Floyd, “Thinks Left Unsaid”)

PREGI:
una trama ben costruita e una struttura in parallelo (Niémans e Karim si incontrano solo nell’ultimo terzo di libro) che funziona e non annoia, anche grazie alla differenza fisica, anagrafica e di carattere tra i due poliziotti; nerissimo e a suo modo coraggioso il finale

DIFETTI:
ossessionato dalla necessità di mantenere incalzante il ritmo del racconto, l’Autore comprime forse un po’ troppo la sua indagine e non padroneggia alla perfezione incastri e spostamenti dei suoi protagonisti, accavallando troppi eventi in un arco temporale troppo breve

CITAZIONE:
«Ogni elemento di un’indagine è uno specchio. E l’assassino si nasconde in uno degli angoli morti.» Non riusciva a togliersi dalla mente questa certezza: Caillois non era stato scelto a caso. E la sua morte era legata al suo passato. A una persona a lui nota. A un’azione da lui commessa. O a un segreto che aveva scoperto. (pag. 104)

GIUDIZIO SINTETICO: **

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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***1/2
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ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO