LECTIO BREVIS / 153

Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati

A cura di Roberto Mandile

PUNTATA 153
SCRIVERE IN GUERRA
Romanzieri e poeti alle prese con gli eventi bellici: raccontarli o metterli in secondo piano?

Irène Némirovsky – SUITE FRANCESE (2004; scritto nel 1942)

Di cosa parla: Giugno 1940. L’esercito tedesco bombarda Parigi e le principali città francesi, a pochi giorni ormai dall’invasione e dall’arrivo nella capitale. Molti parigini si apprestano a lasciare la città per dirigersi verso sud. Tra questi i Péricand, famiglia alto-borghese: è la signora Charlotte che dovrà farsi carico del trasferimento di quattro figli e del suocero, visto che il marito, funzionario al Museo Nazionale, dovrà restare a Parigi. Controvoglia fugge anche, insieme alla sua amante Florence, Gabriel Corte, altezzoso scrittore e accademico di Francia. I coniugi Michaud, impiegati in una banca, e che hanno perso i contatti con il figlio, partito per il fronte, dovrebbero partire insieme al loro direttore, ma i posti sull’automobile sono contati e quest’ultimo dovrà fare i conti con la sua amante, una ballerina. Quanto a Charles Langelet, benestante scapolo sessantenne, la sua unica preoccupazione sembra la sua preziosa collezione di porcellane…

Commento: Il romanzo più famoso di Irène Némirovsky è ampiamente incompiuto: nelle intenzioni dell’autrice, avrebbe dovuto comprendere cinque sezioni; gli eventi che la travolsero portandola a finire i suoi giorni, vittima di una febbre tifoide, ad Auschwitz, nell’agosto del 1942, hanno consentito alla scrittrice di lasciarci solo le prime due parti (“Tempesta di giugno” e “Dolce”). Il modello dichiarato dalla stessa Némirovsky è niente meno che Guerra e pace; l’ampiezza distesa della narrazione, con l’intrecciarsi – specie nella prima sezione – delle storie di numerosi personaggi, giustifica il riferimento. La scrittura, di una fluidità ammirevole, talvolta – specie nella seconda sezione – un po’ enfatica o troppo levigata nella descrizione dei sentimenti, è il vero collante del romanzo che sa proporre, con lucida ma commovente chiarezza, le contraddizioni della guerra raccontata non dall’alto delle manovre militari e delle grandi motivazioni politiche ma attraverso il punto di vista, plurale e ribassato, di tanti personaggi di differente estrazione sociale. Lo sguardo di Némirovsky non è però indulgente o assolutorio nei confronti di coloro che, a buon diritto, devono essere considerate le vittime delle circostanze: con alcune eccezioni (i coniugi Michaud, in particolare), i personaggi si rivelano perlopiù preda delle loro bassezze, della loro morale fatta di egoismo, ipocrisia e meschinità. Come se nei momenti più difficili l’animo umano non potesse che esprimere il peggio di sé. Al contempo, la penna dell’autrice sa scavare nell’ambiguità della situazione, mettendo in luce, nel modo di pensare dei francesi, la difficoltà di tollerare la convivenza forzata con gli invasori, così simili eppure così diversi da loro: «La guerra… sì, sappiamo bene cos’è. Ma l’occupazione, in un certo senso, è ancora peggio, perché ci si abitua alle persone. Si pensa: “Dopotutto sono persone come noi”, e invece no, non è vero. Siamo due razze diverse, irreconciliabili, nemiche per sempre”, così pensavano i francesi». La scrittrice non seppe prevedere le conseguenze dell’invasione o forse, come molti, pensò che non sarebbero toccate anche a lei: pochi giorni dopo aver completato la prima stesura delle prime due sezioni, verrà arrestata e quindi deportata in quanto ebrea (la persecuzione antisemita non compare nel romanzo); poco più di un mese dopo, come detto, morirà, con la consapevolezza, confessata al suo editore in una delle sue ultime lettere, che il libro vedrà la luce postumo. Non poteva sapere che sarebbero passati più di sessant’anni prima della pubblicazione, grazie all’opera delle figlie, uniche sopravvissute della famiglia agli eventi seguiti all’invasione nazista della Francia nel giugno del 1940.

GIUDIZIO: ***½

Donald Henderson – MR BOWLING COMPRA UN GIORNALE (1943)

Di cosa parla: Londra. Mentre la città è sottoposta alla dura prova dei bombardamenti nazisti, Mr Bowling, un signore irreprensibile a detta di tutti, è in realtà un assassino seriale. Dopo aver ammazzato la moglie, spinto da motivi economici, ha preso gusto ad uccidere, rispondendo a un irresistibile impulso. Ormai non ha neanche più bisogno di un movente per scegliere le sue vittime. E non fa nulla per nascondere le tracce dei suoi delitti: sembra, anzi, convinto ogni volta che la sua cattura sia inevitabile. Per questo cerca sempre sui giornali notizie delle sue criminali imprese, finendo per restare sorpreso di come riesca puntualmente a farla franca. Almeno fino a quando non commette un omicidio nel suo stesso appartamento…

Commento: Curioso esempio di inverted story (i gialli alla rovescia, come gli episodi del tenente Colombo), è un romanzo spiazzante per più di un verso, così come interessanti sono le vicissitudini editoriali: al momento della pubblicazione, fu un grande successo tanto da essere adattato per il teatro nel dopoguerra (l’autore nel frattempo, che si era diviso in vita tra letteratura e recitazione, era scomparso, a soli quarantaquattro anni), per poi essere a lungo dimenticato prima della recente riscoperta. Elogiato da Raymond Chandler, uno dei padri dell’hard-boiled e grande critico del giallo classico a enigma, il libro è un bizzarro esempio di thriller psicologico capace di attirare l’attenzione del lettore, ma in cui non tutto torna alla perfezione: il narratore è esterno e, pur adottando di fatto il punto di vista del protagonista, fatica, in alcuni punti, a rendere conto delle ragioni che spingono Mr Bowling a commettere i delitti. Colpa, forse, anche di uno stile a tratti brusco e non sempre freddo e controllato come, probabilmente, la storia avrebbe richiesto. Le pagine migliori sono quelle in cui la psicologia di Mr Bowling sembra delinearsi in modo più chiaro e convincente, in una sorta di cupo contrappunto con l’ambientazione nei sobborghi londinesi che resistono alle bombe tedesche. Scotland Yard, in ogni caso, non ne esce particolarmente bene.

GIUDIZIO: **½

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI

Scrivere in guerra e di guerra è una necessità, come ammetteva Irène Némirovsky, o ci sono cose più importanti di cui occuparsi in certi momenti? Come testimoniano tanti casi (da Boccaccio in giù), la letteratura, nel tracciare vie d’uscita dai drammi in corso, contiene un insopprimibile istinto di vitalità che si oppone di per sé stesso, con la sua forza, alla morte. Per tornare al nostro discorso, basterebbe, a titolo d’esempio, un elenco dei romanzi gialli scritti durante la Seconda guerra mondiale (la sola Agatha Christie tra il 1939 e il 1945 diede alle stampe una dozzina di titoli!) a testimoniare di come, anche durante i momenti più tragici, sia sempre esistita una letteratura d’evasione. D’altro canto, l’esigenza di scrivere è una necessità che non ha bisogno di giustificazioni, né a priori né tanto meno a posteriori, considerato che l’arte dovrebbe avere un orizzonte non limitato al presente, ma capace di attingere a un’universalità (della forma più che del contenuto!) che talora si può apprezzare solo a una giusta distanza di tempo. Anzi, a ben vedere, solo l’arte è in grado di dare una parvenza di ordine se non di senso al caos degli eventi, ragion per cui oggi ci appare difficile pensare alla Guerra civile spagnola senza Guernica di Picasso o alla Prima guerra mondiale senza le poesie di Giuseppe Ungaretti, che non sono solo o tanto una testimonianza ma una delle opere più importanti della letteratura di ogni tempo.

L’autore de Il porto sepolto non è tuttavia l’unico poeta-soldato illustre della Grande guerra. Restando in Italia, è il caso di citare almeno un altro nome: Clemente Rebora, che combatté anch’egli sul Carso ma a causa di una ferita alla testa dovuta allo scoppio di una mina verrà ricoverato in un manicomio (ne uscirà con la singolare diagnosi di “mania dell’eterno”, anticipazione inconsapevole della crisi religiosa che, una decina d’anni dopo, lo porterà a diventare sacerdote). La sua poesia, anche considerando le profonde differenze stilistiche, condivide con quella di Ungaretti (che lo definì “uno spirito tormentato e nobilissimo”) lo strazio di alcune immagini crude e una disperata ricerca di tracce di umanità nel contesto feroce della guerra di trincea:

O ferito laggiù nel valloncello,
Tanto invocasti
Se tre compagni interi
Cadder per te che quasi più non eri.
Tra melma e sangue
Tronco senza gambe
E il tuo lamento ancora,
Pietà di noi rimasti
A rantolarci e non ha fine l’ora,
Affretta l’agonia,
Tu puoi finire,
E nel conforto ti sia
Nella demenza che non sa impazzire,
Mentre sosta il momento
Il sonno sul cervello,
Lasciaci in silenzio –

Grazie, fratello.

1916

Poeta e soldato fu, o meglio sarebbe dovuto essere, anche Vittorio Sereni, la cui esperienza è mirabilmente riassunta nella raccolta Diario d’Algeria, che già nel titolo reca traccia della sua natura: testimonianza, in presa diretta (per quanto la letteratura lo consenta), delle vicende che videro lo scrittore luinese, che allo scoppio della Seconda guerra mondiale era stato assegnato a un reparto dell’esercito inviato nell’Africa settentrionale, passare due anni da prigioniero (fu catturato in Sicilia e poi trasferito appunto in Algeria e in Marocco). La sua condizione lo renderà partecipe e al tempo stesso estraneo agli eventi bellici, come testimonia questa poesia che evoca lo sbarco in Normandia, di cui è giunta voce nel campo di prigionia, e la speranza di liberazione dell’Europa, ma l’atmosfera notturna, come onirica, che circonda l’arrivo della notizia offre all’autore lo spunto per esprimere la propria rassegnata emarginazione rispetto a qualunque prospettiva di eroismo (il primo soldato caduto sarà riportato indietro con un ponte aereo, mentre lui, preda dello sconforto dell’abbandono, può ascoltare solo il suono del vento contro la tenda):

Non sa più nulla, è alto sulle ali
il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna.
Per questo qualcuno stanotte
mi toccava la spalla mormorando
di pregar per l’Europa
mentre la Nuova Armada
si presentava alle coste di Francia.

Ho risposto nel sonno: – È il vento,
il vento che fa musiche bizzarre.
Ma se tu fossi davvero
il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna
prega tu se lo puoi, io sono morto
alla guerra e alla pace.
Questa è la musica ora:
delle tende che sbattono sui pali.
Non è musica d’angeli, è la mia
sola musica e mi basta –.

Campo Ospedale 127, giugno 1944

Testi citati
Clemente Rebora – VIATICO, in “Poesie sparse” (1947)
Vittorio Sereni – NON SA PIÙ NULLA, È ALTO SULLE ALI, in “Diario d’Algeria” (1947)  

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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*1/2
NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
***
***1/2
****
ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO