L’OPERA AL NERO – Marguerite Yourcenar

# 309 – Marguerite Yourcenar – L’OPERA AL NERO (Feltrinelli, 1988, ediz. orig. 1968, pagg. 299)

La vita di Zenone Ligre si svolge tutta in Europa nel corso del difficile e contrastato XVI secolo, attraversato da scismi e guerre di religione, e dominato dal fervore controriformistico con cui la Chiesa di Roma rispose alle tesi di Lutero. Nato illegittimo in una ricca famiglia di banchieri e imprenditori, Zenone rivela fin da giovane uno spirito inquieto, appassionato di filosofia, di medicina e di alchimia, discipline pericolose in un secolo come il Cinquecento, quando bastava l’odore dell’eresia per finire al rogo, figuriamoci l’evidente ateismo di un intellettuale sui generis che rifiuta di sottomettersi all’autorità religiosa e politica e vive da vagabondo offrendo i propri servigi come medico, soprattutto durante le pestilenze, e inseguendo il sogno della Grande Opera, la trasformazione alchemica della materia vile in oro, evidente simbolo di un profondo, sconvolgente ripensamento di sé stesso che dovrebbe portare l’alchimista a sfondare le porte del Tempo e dell’Eternità. Attraverso varie vicissitudini, la vita di Zenone termina dove era iniziata: nella città belga di Bruges dove l’alchimista, sotto la falsa identità di Sebastiano Theus, presta la sua opera come medico nel convento dei Cordiglieri. Uno scandalo sessuale, nel quale egli peraltro non c’entra nulla, finirà per farne scoprire la vera identità, e per condurlo a un inevitabile processo per eresia, al termine del quale, prima dell’altrettanto inevitabile condanna a morte, forse Zenone riuscirà a intravedere la verità dietro i secoli di pensiero alchemico, e la nigredo, la trasformazione al nero, fase cruciale della Grande Opera, volgerà forse al bianco negli ultimi istanti della sua tormentata e inquieta vita.

Il nome di Marguerite Yourcenar (1903-1987) è legato a due titoli: “Memorie di Adriano”, il più celebre, grande romanzo dedicato alla figura di uno dei più interessanti Imperatori romani, e appunto “L’Opera al nero”, generoso e a tratti straordinario tentativo di far rivivere il Cinquecento, epoca complicatissima e germinale, vera e propria porta della modernità, cerniera tra Medioevo ed Età Moderna attraversata da tensioni inenarrabili.

Costruita sulla base di celebri personaggi storici, dal famoso medico e alchimista svizzero Paracelso (al secolo Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hoheheim), anti-galeniano e precursore della ricerca scientifica, a Michele Serveto, medico e negatore della divina Trinità, la figura di Zenone è l’architrave di un romanzo che nella prima parte è decisamente più corale, dedicandosi anche a personaggi collaterali come il cugino del protagonista, il soldato di ventura Enrico-Massimiliano Ligre, e a vicende storiche splendidamente raccontate, come l’assedio della città di Münster, nel 1534. Apparentemente privo di centro e di equilibrio, il libro della Yourcenar alterna momenti e riflessioni eccezionali a passaggi francamente tediosi e troppo difficili per chiunque non possieda una solidissima cultura sulla storia del XVI secolo europeo, con le sue guerre e le sue rivolte.

Se infatti il principale merito dell’Autrice è quello di non cedere d’un millimetro al didascalismo, calando i suoi personaggi (e i lettori) in un mondo “altro”, talmente lontano da noi da non essere a volte neppure immaginabile, descritto con indubbia perizia e sulla base di studi di altissimo livello (non a caso il romanzo, iniziato negli anni ’20, fu pubblicato solo nel 1968), il problema di fondo de “L’opera al nero” è la difficoltà di lettura, a tratti veramente eccessiva. Si legge e si ammira l’accuratezza delle descrizioni e dei caratteri tratteggiati, ma allo stesso tempo si è costretti a rileggere più volte intere pagine perché troppo dense di dettagli e di eventi, e troppo spesso si ha l’impressione che la trama non proceda, sacrificata sull’altare di una perfetta ricostruzione d’ambiente e di uno scavo nella psicologia del protagonista che certo non lascia indifferenti (soprattutto nella seconda parte, ambientata a Bruges, e nell’ultima, con la carcerazione e il processo) ma che porta altresì il lettore al limite della sua capacità di comprensione e immaginazione.

Marguerite Yourcenar è una scrittrice eccezionale, e “L’opera al nero” ne conferma tutto il talento e la preparazione culturale, dopo le bellissime “Memorie di Adriano”; è però anche una scrittrice che chiede tantissimo al suo pubblico, e con questo romanzo non fa sconti ed esibisce tutta la sua maniacale cura nel costruire atmosfere e personaggi, tutta la sua abilità nel cesellare trame e sviluppi che si inscrivano alla perfezione nel tessuto storico di riferimento (in questo caso il Cinquecento).

Il risultato è un libro bello e difficilissimo, che si ha spesso la tentazione di abbandonare non già perché se ne neghi la validità letteraria (evidente anche a un profano), bensì perché in molti punti ci si sente francamente inadeguati ad esso, incapaci di comprenderlo a fondo, di seguirlo e di immergercisi come sempre ci si dovrebbe immergere in un romanzo. Grande merito, dunque, a una Autrice coltissima e, non a caso, refrattaria a qualunque facile femminismo (nella postfazione parla addirittura di sé al maschile, definendosi “autore”!); ma “L’opera al nero” è una cima difficilissima da scalare che non sempre – non mi vergogno a dirlo – mi ha conquistato e affabulato, anzi, a tratti mi ha respinto e annoiato.

Hieronymus Bosch, “Il giardino delle delizie” (Olio su tavola, 1480-90)

Chi tiene duro, approda a un finale straordinario e gode di una parabola narrativa di assoluta eccezione, a prezzo di riletture e pause di riflessione; chi lascia l’impresa, non se ne vergogni: con un romanzo così, può succedere! Credo che anche Marguerite sarebbe d’accordo!                    

(Recensione scritta ascoltando Amy Winehouse, “Back to Black”)

PREGI:
c’è un capitolo centrale ne “L’opera al nero” che si intitola “L’abisso”, circa venti pagine di un’intensità concettuale pazzesca, che raramente mi è capitato di trovare in altri romanzi. Ecco, pregi e difetti del libro sono tutti in questo capitolo centrale: scrittura elevatissima, ma anche difficile e volutamente respingente, concettosa e compiaciuta  

DIFETTI:
come nei pregi ci sono anche tanti difetti, allo stesso modo nei difetti di questo libro così a lungo lavorato e cesellato dalla sua Autrice ci sono anche tanti pregi, dalla profondità dei personaggi alla cura delle ambientazioni e degli sviluppi storici. Il principale difetto, comunque, è un tono di fondo oggettivamente un po’ troppo “accademico”, e una freddezza narrativa che non conquista, laddove le “Memorie di Adriano” seducono anche il lettore completamente digiuno di cultura classica

CITAZIONE:
“Sul soffitto un trave riutilizzato recava incisa una data: 1491. All’epoca in cui era stato intagliato per fissare un determinato anno che non importava più a nessuno, egli non esisteva ancora, né la donna da cui era uscito. Invertiva quelle cifre come per gioco: l’anno 1941 dopo l’Incarnazione di Cristo. Tentava di immaginarsi quell’anno senza rapporto alcuno colla sua esistenza e di cui sapeva una sola cosa, cioè che sarebbe arrivato. Camminava sulla propria polvere. […] La terra girava ignara del calendario giuliano o dell’era cristiana, tracciando il suo cerchio senza principio né fine come un anello perfettamente liscio.” (pag. 153)

GIUDIZIO SINTETICO: **½

LEGENDA RECENSIONI
Sia per i libri che per i film, adotto nel giudizio sintetico il sistema Mereghetti, che va da 0 a 4 stelline: a 0, ovviamente, i giudizi più negativi, a 4 quelli più positivi, con tutti i possibili gradi intermedi…

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NON GIUDICABILE con i sistemi ìclassiciî di voto
PESSIMO
QUASI PESSIMO
BRUTTO
BRUTTINO
 
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**1/2
***
***1/2
****
ACCETTABILE
DISCRETO
BUONO
MOLTO BUONO
CAPOLAVORO