LECTIO BREVIS / 179

Testi, pre-testi, divagazioni e spunti minimi intorno a libri letti, riletti, sfogliati

A cura di Roberto Mandile

PUNTATA 179
FINTI GIALLI
Racconti e romanzi camuffati da polizieschi, con appunti d’autore sul carattere fittizio del genere

Gilbert Keith Chesterton – I PARADOSSI DI MR. POND (1936)

Di cosa parla: Mr. Pond, ex funzionario governativo, è un ometto mite e dall’aria inoffensiva che, a dire dei suoi amici, ama esprimersi per paradossi, anche se lui lo nega. Così nelle conversazioni che lo vedono impegnato con Sir Hubert Wotton e il capitano Gahagan c’è sempre un racconto che ruota intorno a un fatto o a una circostanza apparentemente contraddittoria o addirittura inspiegabile: sono storie di cavalieri, spie, cospiratori e anche di assassini, sulle quali Pond getta una luce nuova, rivelando ai suoi interlocutori, con la sua aria serafica e imperturbabile, verità inaspettate ma perfettamente razionali…

Commento: Pubblicata nell’anno della morte del suo autore, questa raccolta di otto racconti si inserisce nel solco delle più celebri antologie di Padre Brown, nonché di altre sue opere come Il club dei mestieri stravaganti o L’uomo che sapeva troppo. Chesterton mette in scena, sotto le forme o col pretesto del racconto giallo (ma la definizione va intesa in senso molto lato), dei paradossi logico-linguistici, incaricandosi, di volta in volta, di scioglierne le (apparenti) contraddizioni e di dimostrare come la realtà resiste ad ogni tentativo di inutile complicazione. Ad esempio, perché un maresciallo ha fallito a causa del fatto che due suoi soldati gli hanno obbedito, mentre le cose sarebbero andate meglio se gli avesse obbedito uno solo? Per capirlo bisogna conoscere la storia di un condannato a morte che si è salvato in quanto l’ordine di sospensione della sua esecuzione non è arrivato a destinazione. O ancora, cosa vuol dire che “in natura bisogna scendere molto in basso per trovare cose che vanno tanto in alto”? Lo dimostra la vicenda che vede il capitano Gahagan accusato dell’omicidio di un suo rivale in amore. E, per citare un ultimo caso, com’è possibile che in natura una persona sia troppo alta per essere vista? Anche qui, a provarlo, c’è la storia di un delitto impossibile, almeno stando alle apparenze, consumatosi anni prima in una città termale e precisamente negli uffici governativi addetti alla sorveglianza di spie guidati da Mr. Pond. L’invenzione narrativa di Chesterton è indiscutibile e il protagonista, un ometto quasi insignificante in sé, ben rappresenta la (paradossale) normalità della mente umana. Certo, la scrittura è a tratti involuta, un po’ cerebrale e, soprattutto all’inizio, i racconti scontano una certa lentezza. Ma le scorciatoie narrative percorse dallo scrittore sono, in realtà, pretesti filosofici: i paradossi di Mr. Pond sono – come si legge a un tratto – “sfide paradossali condotte addirittura contro la legge stessa del paradosso”, sono bizzarrie rispettabilissime, come l’aspetto dimesso dell’ex funzionario, sono nonsensi capaci di stimolare l’intelligenza ma non di scalfire la stupidità di chi si limita a cogliere nell’assurdo un sintomo della pazzia.

GIUDIZIO: **½

Stanisław Lem – L’INDAGINE DEL TENENTE GREGORY (1959)

Di cosa parla: Un mistero inquietante agita l’Inghilterra: da qualche tempo si registrano strane sparizioni di cadaveri dagli obitori. Scotland Yard si mette all’opera: l’ispettore capo Sheppard decide di affidare il caso al tenente Gregory, che dà l’avvio a scrupolose indagini. È possibile che sia tutta opera di un maniaco? Eppure, le misure di sicurezza messe in atto non sembrano lasciare spazio a questa ipotesi. Sarà il dottor Sciss, esperto di statistica, a suggerire a Gregory, sulla base dello studio attento di alcuni dati, un’interpretazione diversa, che però costringe a credere alla possibilità che i morti si siano risvegliati e messi in movimento da soli. Anche se alcuni casi di sparizione non pare che si possano spiegare neanche in questo modo…

Commento: «Per lei l’esistenza di un colpevole, che si riesca o meno ad arrestarlo, non è una questione di successo o di sconfitta, ma di “senso” o di “non senso” della sua professione. E poiché per lei quell’uomo rappresenta pace, conforto e salvezza, in un modo o nell’altro lo avrà. Troverà quel bastardo anche se non dovesse esistere!». È, non a caso, uno scrittore – a due terzi del libro (e dell’indagine) – a suggerire una via di uscita al tenente Gregory che, appresa l’ipotesi statistica del dottor Sciss, sembra sul punto di perdere le solide, quadrate certezze investigative di cui ha dato prova al lettore nella prima metà del romanzo. Lettore che Lem, secondo il suo stile, si diverte a disorientare, offrendogli una storia che, a tutta prima, pare rientrare a pieno titolo, per la costruzione narrativa, l’atmosfera, il ricorso agli stilemi più tipici, nel solco del poliziesco classico nella sua variante più cervellotica, quella dei crimini impossibili. Ma – e il lettore di Lem non può ignorarlo – la razionalità del giallo classico ha le pagine contate. E, infatti, con l’entrata in scena della pista suggerita dal dottor Sciss, il romanzo si colora, secondo i canoni più consoni all’autore, di una vena filosofica: pur restando ancorato alla vicenda centrale della trama (la sparizione dei cadaveri), si affacciano, infatti, considerazioni sul ruolo del caso nella catena degli eventi possibili, nonché sulla difficoltà di conciliare il rigore del metodo scientifico con la spiegazione della realtà, come dimostra anche la fallacia delle ipotesi affacciate dal dottor Sciss. E così, fino alla fine, il tenente Gregory, che prova a difendere la razionalità pragmatica del common sense britannico, si ritrova isolato in un mondo che, non potendo accettare che i cadaveri scompaiano, attende una risposta, ossia, come in ogni giallo che si rispetti, pretende a tutti i costi un colpevole. Anche se non dovesse esistere.

GIUDIZIO: **½

PRE-TESTI, DIVAGAZIONI
E SPUNTI MINIMI

Il giallo si presta a diventare pretesto, appiglio narrativo, alibi per parlare d’altro. Se lo hanno fatto grandi scrittori (per limitarsi ai primi che vengono in mente: Gadda, Sciascia, Dürrenmatt), dove sta il problema? Il genere ha delle regole, tanto più rigide quanto più manipolabili con perizia, quella che, appunto, distingue i grandi scrittori dagli altri.

È noto, ad esempio, che Georges Simenon si dedicò al poliziesco in senso stretto nei settantacinque romanzi (più una trentina di racconti) con il commissario Maigret: e, certo, come si ripete nei manuali, Simenon dimostra, rispetto al giallo classico, un’attenzione maggiore alla caratterizzazione dei personaggi, alle psicologie, al ritratto della vita di provincia, insomma si serve del genere investigativo per fare letteratura. Il che, però, non impedì allo scrittore belga di fare anche l’opposto: ossia di inserire nei suoi “romanzi duri” – e qui siamo nell’ordine di qualche centinaio di libri – elementi tipici del poliziesco. Il caso forse più noto (e senz’altro tra i più belli) è La camera azzurra, ma degno di interesse, fin dal titolo, è anche L’assassino.

La storia è semplice e sembra costruita nei termini di un “giallo alla rovescia”: a Sneek, paesino della Frisia, il dottor Hans Kuperus uccide a sangue freddo la moglie e il suo amante, il conte Schutter, l’uomo più ricco e considerato della cittadina; si dirige quindi all’Onder den Linden, il caffè che è punto di incontro dei membri della prestigiosa Accademia del Biliardo, di cui Schutter era presidente; sognando di poterne prendere il posto, Kuperus torna infine a casa, dove realizza un desiderio da tempo coltivato: portarsi a letto la domestica Neel. Gli elementi tipicamente gialli, in realtà, sono la leva attraverso cui Simenon, con la sottigliezza psicologica delle sue opere migliori, penetra nella psicologia di un uomo comune e del suo precipitare nell’abisso: divorato dall’invidia, il protagonista finisce per essere travolto dai meccanismi della vita di provincia, dove basta un titolo nobiliare (e la ricchezza che ne deriva) a marcare una differenza che, più che sui fatti, riposa sull’impressione generale. L’onorabilità che Kuperus spera di raggiungere con il suo gesto estremo si rivelerà così solo un miraggio, il riflesso di un’illusione destinata a svanire con la scomparsa stessa del suo nemico.

Ma, a suggerirci che forse la distinzione tra gialli veri e gialli finti non regge è un altro grandissimo, Jorge Luis Borges, anche lui cultore sui generis del poliziesco (si pensi, oltre che ai racconti scritti insieme ad Adolfo Bioy Casares, quelli con Isidro Parodi, a certi testi come Il giardino dei sentieri che si biforcano o Abenjacàn il Bojarí, ucciso nel suo labirinto). Ebbene, lo scrittore argentino, sosteneva che “il racconto poliziesco è un genere intellettuale, un genere basato su qualcosa di completamente fittizio”. Ma, proprio questo suo carattere fittizio è appunto la garanzia del suo statuto pienamente letterario, che Borges anzi riteneva tanto più solido nel giallo in quanto non passibile di troppe variazioni:

“Che cosa si può dire come apologia del genere poliziesco? C’è una constatazione evidente da fare: la nostra letteratura tende al caotico. Si tende al verso libero perché è più facile del verso regolare; la verità è che quest’ultimo è molto difficile. In questa nostra epoca, così caotica, c’è una cosa che, umilmente, ha conservato le virtù classiche: il racconto poliziesco. Non è possibile concepire un racconto poliziesco senza principio, parte centrale e fine. Questi romanzi li hanno scritti autori subalterni, ma alcuni sono stati scritti da autori eccellenti: Dickens, Stevenson e, soprattutto, Wilkie Collins.

Io direi, in difesa del romanzo poliziesco, che non ha bisogno di difese; letto con un certo disdegno, ora sta salvando l’ordine in un’epoca di disordine. E questa è una prova meritoria, di cui dobbiamo essergli riconoscenti.”

Testi citati
Georges Simenon – L’ASSASSINO (1937)
Jorge Luis Borges – da “IL RACCONTO POLIZIESCO” – traduzione di Angelo Morino (1978)